Il percorso delle pensioni ha imboccato una strada sempre più rigida. Passo dopo passo, dal 2023 ad oggi, gli strumenti che consentivano di lasciare il lavoro con margini di scelta più ampi si sono assottigliati fino quasi a sparire.
La Legge di Bilancio 2026 segna il punto di arrivo di questa traiettoria. Misure come Opzione Donna e Quota 103 vengono sostanzialmente eliminate (non vengono prorogate). Si mette così fine a due canali che permettono a molte persone—soprattutto lavoratrici—di pianificare in anticipo l’uscita dal mondo del lavoro. Secondo la CGIL, il messaggio politico è inequivocabile: le decisioni prese penalizzano le donne, i giovani e chi ha vissuto carriere spezzettate.
Non si tratta, per il sindacato, di piccoli aggiustamenti, ma di una scelta che incide sulla vita di chi ha redditi più bassi e percorsi professionali irregolari.
Anche la segretaria confederale Lara Ghiglione interviene nel dibattito, indicando la necessità di una svolta. Serve una riforma pensioni autentica, capace di valorizzare il lavoro di cura e di restituire dignità a chi, spesso in silenzio, ha sostenuto famiglie e comunità.
Pensioni: la fine di opzione donna
Il tramonto di Opzione Donna colpisce in modo particolare. Questo canale riconosce, pur con costi pensionistici rilevanti, la specificità delle carriere femminili. Carriere spesso interrotte per maternità, assistenza ai figli o sostegno a familiari non autosufficienti. La chiusura comporta per molte lavoratrici il rinvio dell’età di uscita. E, soprattutto, la perdita di uno strumento che teneva conto di esigenze reali, non sempre visibili nei numeri ma presenti nella quotidianità.
Anche la fine di Quota 103 elimina una valvola di flessibilità che aveva consentito ad alcuni lavoratori di anticipare la pensione quando maturavano, congiuntamente, età e contribuzione.
Il sindacato interpreta questa fase come l’ultimo atto di un processo di irrigidimento delle pensioni, iniziato nel 2023 e culminato nel 2026. Nella lettura della CGIL, l’impatto è “devastante” soprattutto per le donne: non solo perché la fine della flessibilità chiude porte già strette, ma perché il sistema pensioni non tiene ancora pienamente conto del valore economico e sociale del lavoro di cura.
Una riforma che non arriva
Il risultato è un divario che rischia di allargarsi: chi ha carriere continue e salari più alti può programmare meglio il futuro; chi invece ha alternato contratti a termine, part-time involontari o periodi fuori dal mercato resta più esposto.
Da qui la richiesta di una riforma strutturale delle pensioni, non di correttivi temporanei. I pilastri indicati dalla CGIL sono chiari. Primo: riconoscere il lavoro di cura svolto in gran parte dalle donne, attribuendogli un peso effettivo nel calcolo dei requisiti o dell’importo. Secondo: considerare le carriere discontinue e i redditi bassi, perché l’attuale impostazione premia la stabilità contributiva e penalizza chi ha vissuto lunghi intervalli senza versamenti. Terzo: reintrodurre meccanismi di flessibilità in uscita, così da permettere scelte più aderenti alle condizioni di salute, al carico familiare e alla qualità effettiva del lavoro svolto. Quarto: costruire regole che assicurino equità e dignità a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, non solo a chi rientra nei profili standard.
Obiettivi della riforma pensioni
Una riforma così disegnata avrebbe un duplice obiettivo: correggere squilibri storici e rendere le pensioni più vicine alla realtà del mercato del lavoro attuale, fatto di discontinuità, part-time e cambi di mansione. Valorizzare il lavoro di cura significa riconoscere che il tempo dedicato alla famiglia non è assenza, ma contribuzione sociale. Tenere conto dei redditi bassi e delle carriere frammentate vuol dire evitare che le stesse persone subiscano un doppio svantaggio: meno contributi durante la vita attiva e pensioni insufficienti nella vecchiaia.
La flessibilità, inoltre, non è sinonimo di privilegio. Quando è ben disegnata, consente di gestire transizioni complesse senza scaricare tutti i costi su chi ha meno risorse. È un principio che riguarda anche i giovani: carriere spezzate oggi rischiano di tradursi in pensioni povere domani, se il sistema non interviene per attenuare gli effetti di lavori discontinui e instabili.
Il confronto resta aperto e investe non solo le pensioni ma l’idea di giustizia sociale che si vuole perseguire. La posizione della CGIL indica una direzione precisa: superare misure episodiche e averne una organica, capace di tenere insieme equità, sostenibilità e riconoscimento del valore del lavoro, retribuito e non retribuito. Senza questo cambio di passo, l’uscita dal lavoro rischia di diventare un traguardo sempre più distante per chi ha dato molto senza poter contare su tutele adeguate.
Riassumendo
- Dal 2023 al 2026 le pensioni diventano più rigide, eliminata la flessibilità in uscita.
- La Legge di Bilancio 2026 cancella Opzione Donna e Quota 103.
- La CGIL denuncia scelte politiche che penalizzano donne, giovani e lavoratori con carriere discontinue.
- Serve una riforma che riconosca il valore del lavoro di cura femminile.
- Il sindacato chiede pensioni eque che tengano conto di redditi bassi e discontinuità lavorative.
- L’obiettivo è restituire dignità e flessibilità a tutte le lavoratrici e i lavoratori.