Adesso si entra nel vivo delle campagne elettorali per le amministrative. A fine mese sarà la volta della prima Regione al voto, cioè le Marche. Poi seguiranno Campania, Puglia e Veneto. Quando ci sono elezioni di questo tipo, l’attualità politica prende spesso strade diverse dal solito, e anche il tema delle pensioni passa in secondo piano. Tuttavia, con l’avvicinarsi del momento della legge di Bilancio, è inevitabile tornare a parlarne. La manovra finanziaria, infatti, porta con sé il consueto pacchetto pensioni che, per il 2026, prevede tre novità di rilievo.
Il 2026 diventa così un anno chiave, capace di permettere uscite anticipate a diverse categorie di contribuenti.
Pensioni 2026: tre novità in arrivo e pensionamenti a 58, 62 o 64 anni di età
Dal 2026 si aprono possibilità inaspettate di uscita dal mondo del lavoro. Tre misure, infatti, consentiranno il pensionamento a partire da 58, 62 o 64 anni di età. Molti contribuenti potrebbero decidere di approfittarne subito, temendo un possibile peggioramento dei requisiti e delle regole di calcolo delle pensioni già dal 2027.
A partire da quell’anno, infatti, è previsto un aumento di 3 mesi dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia e quella anticipata. Inoltre, i coefficienti di trasformazione — utilizzati per calcolare l’assegno pensionistico nella parte contributiva — potrebbero diventare meno favorevoli.
Ecco perché il 2026 si prospetta come un’occasione da cogliere, soprattutto grazie alle tre nuove misure che permettono l’uscita a 58, 62 o 64 anni.
Pensione a 58 anni come era possibile una volta, ecco le novità pensioni 2026
La pensione a 58 anni rappresenterebbe un ritorno al passato per le lavoratrici, grazie a una versione rafforzata di Opzione donna, come ipotizzato dall’esecutivo.
Negli ultimi anni, infatti, la misura è stata fortemente ridimensionata, fino a diventare accessibile solo a una platea molto ristretta.
Opzione donna, già penalizzante per il suo calcolo interamente contributivo, è stata ulteriormente limitata a:
- invalide e caregiver, che possono uscire a 59 anni se hanno almeno due figli, altrimenti a 60 o 61 anni;
- licenziate o lavoratrici di grandi aziende coinvolte in crisi gestite a livello ministeriale.
Tutti limiti che nel 2026 potrebbero essere azzerati, riportando la misura alle origini:
- 58 anni di età e 35 anni di contributi entro il 31 dicembre dell’anno precedente per le lavoratrici dipendenti;
- 59 anni e 35 anni di contributi per le lavoratrici autonome.
Uscite anche a 62 o 64 anni, ecco come
Non così precoce come i 58 anni, ma comunque interessante, è la possibilità di uscita a 64 anni di età con 25 anni di contributi. Si tratterebbe di una sorta di pensione anticipata contributiva estesa anche a chi ha carriere miste o retributive. Condizione necessaria: raggiungere un assegno non inferiore a 3 volte l’importo dell’assegno sociale, includendo — se necessario — anche la rendita proveniente da fondi pensione integrativi o dal TFR trasformato in rendita.
Un’altra ipotesi riguarda la pensione a 62 anni con 41 anni di contributi. Non si tratterebbe più della Quota 103, che verrebbe cessata, ma di una nuova misura con un approccio diverso. Infatti, al posto del calcolo interamente contributivo (che comporta forti penalizzazioni), si applicherebbe un taglio lineare del 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni della vecchiaia.
La misura sarebbe però differenziata in base all’ISEE:
- senza penalizzazioni per chi ha un ISEE inferiore a 35.000 euro;
- con il taglio del 2% annuo per chi supera questa soglia.
