Sulla perequazione delle pensioni da anni è in corso una polemica che non smette di fare rumore. Dal 2012, cioè dal blocco della rivalutazione voluto dalla riforma Fornero e dal decreto “Salva Italia”, i pensionati hanno iniziato a perdere quote di rivalutazione. E, escludendo il 2025 con il ritorno a un meccanismo più legittimo, il governo Meloni ha proseguito con lo stesso schema nel 2023 e nel 2024.
Si tratta di tagli pesanti, non certo compensati dal cambio di passo introdotto nel 2025. Né dal cosiddetto Bonus Poletti, con cui i governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni restituirono solo una cifra una tantum ai pensionati.
Ma soprattutto, si tratta di perdite che si trascinano da anni e continueranno a farlo. Secondo uno studio di CIDA e del Centro Studi Itinerari Previdenziali, i pensionati, in particolare quelli del ceto medio, hanno già subito danni superiori a 90.000 euro.
Pensione e rivalutazione: ad alcuni pensionati andrebbero restituiti 90.000 euro, ecco perché
Partiamo dalla base: cosa significa taglio della rivalutazione. Le pensioni ogni anno si adeguano al tasso di inflazione. L’ISTAT certifica il dato e, ogni gennaio, l’INPS rivaluta gli assegni in base all’aumento del costo della vita.
Per tutelare il potere d’acquisto, si utilizza il tasso di inflazione previsionale calcolato sui primi tre trimestri dell’anno precedente. Un meccanismo spesso finito davanti alla Corte Costituzionale, accusato di incostituzionalità, ma applicato anche dal governo Meloni nel 2023 e nel 2024.
Infatti, nel biennio, solo i trattamenti fino a quattro volte il minimo sono stati adeguati al 100% dell’inflazione. Le pensioni più alte sono state progressivamente penalizzate:
- 100% fino a 4 volte il minimo;
- 85% fino a 5 volte il minimo;
- 53% fino a 6 volte il minimo;
- 47% fino a 8 volte il minimo;
- 37% fino a 10 volte il minimo;
- 32% sopra 10 volte il minimo (scese al 22% nel 2024).
Nel 2025, invece, si è ripristinato un meccanismo più equo, con fasce ridotte e progressività:
- 100% fino a 4 volte il minimo;
- 90% sulla parte tra 4 e 5 volte il minimo;
- 75% sulla parte tra 5 e 6 volte il minimo.
La rivalutazione delle pensioni è sistemata, ma i danni del passato restano
Il nuovo meccanismo a scaglioni progressivi applica la percentuale ridotta solo alla parte eccedente, e non all’intero importo, come accadeva in precedenza.
Così, nel 2025 le pensioni sono finalmente cresciute in modo più regolare. Ma ciò che i pensionati hanno perso negli anni precedenti, dal 2012 in poi con il blocco Fornero, non è stato recuperato e continua a produrre effetti negativi. È proprio questo che evidenzia lo studio di Itinerari Previdenziali.
Ecco esempi pratici e perdite ingenti
Prendiamo un esempio: l’inflazione 2025 è stata pari allo 0,8%. Una pensione di 4.000 euro al mese (oltre 6 volte il minimo) si rivaluta in questo modo:
- fino a 4 volte il minimo: +0,8%;
- sulla parte eccedente 4 volte il minimo: +0,72%;
- sulla parte ancora più alta: +0,6%.
Il problema è che quella stessa pensione era arrivata a 4.000 euro dopo due rivalutazioni monche, nel 2023 e nel 2024. In quei due anni, invece di ricevere un adeguamento pieno del 7,3% (2023) e del 5,4% (2024), la rivalutazione si è fermata al 47% di tali tassi, e sull’intero importo.
Risultato: hanno perso più della metà della rivalutazione spettante, oltre ai tagli già subiti negli anni della Fornero e subito dopo. Come evidenzia il Sole 24 Ore, su una pensione netta di 6.000 euro la perdita cumulata ammonta a quasi 180.000 euro.
Anche pensioni da 3.000 euro al mese hanno già accumulato perdite di oltre 96.000 euro. E, come sottolinea Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali, l’effetto trascinamento continuerà a produrre danni economici ancora negli anni a venire.
