Mentre la legge di bilancio 2026 è in discussione al Parlamento con il tema delle pensioni che resta al centro del dibattito, la previdenza complementare resta una delle strade perseguibili per colmare le falde del sistema pensionistico del nostro Paese. I numeri, tuttavia, raccontano una realtà complessa e ancora distante da una piena consapevolezza da parte dei lavoratori italiani. Solo una parte minoritaria della popolazione attiva sceglie di aderire a un fondo pensione, e ancora meno riesce a mantenerne i versamenti in modo costante. Questa situazione solleva interrogativi sulla sostenibilità futura del sistema pensionistico e sulla necessità di misure più incisive per favorire la partecipazione alla previdenza integrativa.
Previdenza complementare: un Paese che risparmia poco per la pensione
Secondo gli ultimi dati diffusi da Moneyfarm, in Italia, appena il 38,8% dei lavoratori dipendenti risulta iscritto a un fondo pensione. La percentuale scende al 23,7% tra gli autonomi, una categoria che da sempre mostra maggiore difficoltà nel costruire un percorso previdenziale stabile. Se si considera solo chi ha effettuato versamenti effettivi negli ultimi dodici mesi, le percentuali si riducono ulteriormente: 30,5% tra i dipendenti e 13,3% tra gli autonomi.
Questi dati evidenziano una scarsa propensione al risparmio previdenziale, dovuta sia a fattori economici sia culturali. Da un lato, il reddito disponibile spesso non consente di destinare somme a lungo termine; dall’altro, permane una certa fiducia nel sistema pubblico, nonostante le evidenti difficoltà demografiche e finanziarie che ne minano la sostenibilità.
Nel contesto della Legge di Bilancio 2026, si discute di nuove misure per rafforzare la previdenza complementare, come l’ipotesi di iscrizione automatica dei neoassunti ai fondi pensione, lasciando poi la libertà di recesso.
Una scelta che potrebbe ampliare significativamente la platea degli iscritti e diffondere una maggiore cultura previdenziale.
La questione di genere: un divario che pesa anche sulla pensione
Uno degli aspetti più critici del sistema della previdenza complementare riguarda il divario di genere. I dati diffusi indicano che le donne rappresentano solo il 39% degli iscritti ai fondi pensione, contro il 61% degli uomini. Ma il problema non è solo numerico: la minore partecipazione femminile è strettamente collegata al gap occupazionale e alle carriere più discontinue.
Tra i 20 e i 64 anni, il tasso di occupazione femminile si ferma al 58,1%, ben 19 punti percentuali in meno rispetto al 77,3% registrato tra gli uomini. Questa distanza si traduce inevitabilmente in minori contributi versati e in una minore capacità di costruire una pensione integrativa adeguata.
Il risultato è un doppio svantaggio: le donne non solo guadagnano mediamente meno, ma accumulano anche un capitale previdenziale più basso, con conseguenze dirette sulla sicurezza economica in età avanzata.
Le differenze tra età e genere nella previdenza complementare
Analizzando i dati per fasce d’età, emergono tendenze ancora più marcate. Gli uomini tra i 55 e i 64 anni mostrano il tasso di adesione più elevato: quasi la metà (48%) ha un fondo pensione attivo. Nella stessa fascia, le donne si fermano al 42%, segno che, pur avvicinandosi al momento della pensione, molte lavoratrici non riescono a colmare il divario accumulato nel tempo.
All’estremo opposto, la situazione più fragile riguarda le donne tra i 25 e i 34 anni, dove solo il 25,5% risulta iscritto a una forma di previdenza complementare, contro il 33,2% degli uomini coetanei. Questo dato è particolarmente preoccupante perché rappresenta la generazione che più di altre dovrà fare affidamento su strumenti integrativi, data la riduzione delle garanzie offerte dal sistema pubblico.
La scarsa partecipazione dei giovani, soprattutto tra le donne, è legata non solo alla precarietà lavorativa, ma anche a una scarsa informazione sul funzionamento e sui vantaggi fiscali dei fondi pensione. Una maggiore educazione finanziaria e campagne di sensibilizzazione mirate potrebbero contribuire a invertire questa tendenza.
Quanto si versa e quanto si accumula
Anche sul fronte dei versamenti emergono differenze significative. Le donne tra i 30 e i 34 anni che aderiscono a un Piano Individuale Pensionistico (PIP) versano in media 120 euro al mese, una cifra decisamente più bassa rispetto ai 315 euro mensili dei lavoratori uomini tra i 60 e i 64 anni con un fondo pensione aperto.
Il livello dei contributi tende comunque a crescere con l’età: chi si avvicina alla pensione aumenta i versamenti per compensare gli anni in cui ha risparmiato poco o nulla. Nei fondi negoziali, invece, i contributi raggiungono il massimo entro i 60 anni e poi calano, probabilmente a causa del pensionamento o del rallentamento dell’attività lavorativa.
Per quanto riguarda le somme accantonate, la distanza è ancora più evidente. Gli uomini tra i 30 e i 34 anni che hanno aderito a un fondo negoziale di categoria hanno accumulato in media 5.910 euro, mentre i lavoratori tra i 60 e i 64 anni con un fondo pensione aperto hanno raggiunto 32.260 euro. Questi numeri mostrano quanto il tempo giochi un ruolo cruciale: iniziare presto consente di costruire una rendita più solida, ma pochi riescono a farlo con continuità.
Le prospettive per il futuro della previdenza complementare
La fotografia complessiva del sistema mostra luci e ombre. Da un lato, cresce la consapevolezza sull’importanza della previdenza complementare come strumento per integrare la pensione pubblica; dall’altro, la partecipazione effettiva rimane troppo bassa per garantire una tutela adeguata alle generazioni future.
L’ipotesi di un meccanismo di adesione automatica ai fondi pensione potrebbe rappresentare un punto di svolta, se accompagnato da politiche mirate a rendere più accessibile e conveniente il risparmio previdenziale. Incentivi fiscali, maggiore trasparenza sui rendimenti e una comunicazione più semplice potrebbero aiutare a superare diffidenze e disinformazione.
Allo stesso tempo, sarà fondamentale colmare il divario di genere, sostenendo la partecipazione delle donne con politiche attive per l’occupazione e con strumenti di risparmio flessibili, capaci di adattarsi alle carriere più discontinue.
Riassumendo
- Solo una minoranza di lavoratori italiani aderisce alla previdenza complementare.
- Le donne partecipano meno ai fondi pensione a causa del divario occupazionale.
- Gli uomini 55-64enni mostrano i tassi di adesione più elevati.
- Le giovani donne 25-34enni sono le meno coinvolte nella previdenza integrativa.
- I versamenti e i risparmi aumentano con l’età ma restano diseguali tra generi.
- Serve iscrizione automatica e maggiore educazione finanziaria per rafforzare la previdenza complementare.
