Tra pochi giorni conosceremo il dato preliminare sul tasso d’inflazione nell’Eurozona a novembre. Il calo di petrolio e gas può favorire un rallentamento nella crescita dei prezzi al consumo rispetto al 2,1% di ottobre. La Banca Centrale Europea (BCE) fissa un target del 2%, similmente alla gran parte delle altre grandi banche centrali. Nei prossimi mesi potrà accadere che l’inflazione nell’area scenda sotto tale soglia e che economisti e governatori centrali tornino a parlare di “spettro” o “paura” della deflazione.
Stabilità dei prezzi perseguita a colpi d’inflazione
E’ stato un ritornello strombazzato quasi quotidianamente nel decennio passato e fino a tre anni fa, quando l’inflazione tornò a fare paura dopo essere stata ignorata dalla BCE.
Anzitutto, vi siete mai chiesti perché le banche centrali perseguano la “stabilità dei prezzi” e allo stesso tempo non solo tollerino, ma persino ambiscano a centrare un certo tasso d’inflazione. Prezzi stabili non dovrebbero implicare inflazione zero? In teoria, sì. Ma le banche centrali eccepiscono che “un po’ d’inflazione” faccia bene.
Perché? Quando i prezzi al consumo salgono, sarebbe il segnale che l’economia vada bene. I consumatori comprano e le imprese vendono. Dietro si cela una verità meno romantica: un po’ d’inflazione può ingannare i lavoratori, che accettano salari reali con il tempo più bassi di quanto avessero immaginato. E questa bugia aiuta il mercato del lavoro a creare occupazione nel breve termine. Lo garantiscono i sostenitori della curva di Phillips. Inoltre, una bassa inflazione favorisce i conti pubblici “gonfiando” le entrate fiscali e stabilizzando il rapporto tra debito e Pil.
Ignoranza economica diffusa
Per tutte queste ragioni economisti, governi e banchieri centrali hanno paura della deflazione, cioè del calo generalizzato dei prezzi. Anzi, temono persino l’inflazione troppo bassa. Quando già essa tende ad azzerarsi, scatta l’allarme. C’è anche una certa ignoranza alla base di questo sentimento. Ancora oggi, molti economisti associano la deflazione alla depressione economica. Poiché i due fenomeni coincisero temporalmente nel secolo scorso, se n’è fatta una facile equazione. In realtà, per secoli e fino alla Grande Depressione degli anni Trenta la deflazione era andata a braccetto quasi sempre con la crescita dell’economia.
Cosa sostengono coloro che hanno paura della deflazione? Se i prezzi scendono, le imprese trovano meno conveniente produrre. Ciò genera una crisi dell’economia, che a sua volta agisce negativamente sui prezzi. I consumatori rinviano gli acquisti di beni non strettamente necessari, prevedendone il calo ulteriore dei prezzi. Come un cane che si morde la coda, l’economia entra in depressione: nessuno compra e nessuno produce. Dove sono finiti i sostenitori dell’economia neoclassica? Hanno dimenticato che sono proprio i prezzi a portare all’equilibrio domanda e offerta?
Paura per deflazione lavaggio del cervello
La stessa opinione pubblica è indotta dalla pressione mediatica ad avere paura della deflazione. Al contrario, essa può rivelarsi utile proprio a lavoratori e consumatori per recuperare il potere di acquisto perduto.
In cinque anni, i prezzi sono esplosi in media del 23,3% nell’Eurozona. Se allarghiamo l’orizzonte agli ultimi venticinque anni, il boom è stato di quasi il 70%. Anno dopo anno i prezzi sono saliti e i consumatori hanno subito passivamente. Veramente pensate che un po’ di deflazione possa fare male? Sarebbe così terribile che il calo dei prezzi delle materie prime dopo i forti rincari da queste provocati, finalmente generasse un’inversione di tendenza?
Ed è così astruso che un eventuale eccesso di offerta si traduca in un calo generalizzato dei prezzi? Come dovrebbero le famiglie tornare a comprare con stipendi reali ridottisi nel tempo? La paura della deflazione non è soltanto illogica, ma anche il segno tangibile della capacità dei policy maker di fare il lavaggio del cervello alle masse. Non ci sarebbe alcunché di male se i prezzi scendessero fino a livellare domanda e offerta. Immaginate di entrare in un supermercato e di spendere 90 per comprare ciò che oggi costa 100. Sareste più contenti o vi fareste le menate per quello che i politici vi suggeriscono di pensare?
giuseppe.timpone@investireoggi.it
