Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. E il gioco è diventato terribilmente duro da tempo, anche se l’Unione Europea ha finora finto di non accorgersene. E’ di questi giorni la proposta della Commissione di innalzare i dazi sulle importazioni di acciaio. Non di poco, bensì del doppio. Passeranno dal 25% al 50% e le importazioni esenti (duty-free) saranno quasi dimezzate da 34,5 a 18,3 milioni di tonnellate all’anno (-47%).
Dazi per crisi di sovrapproduzione globale
La proposta accoglie almeno parte delle richieste arrivate dall’industria siderurgica continentale, che ha fatto notare come siamo l’unica area del mondo ad avere ridotto la produzione dal 2007.
Per l’esattezza di 65 milioni di tonnellate ogni anno. I nostri consumi nel 2027 si sarebbero attestati a 127 milioni di tonnellate, poco meno della produzione di 129,5 milioni. Ma dovete immaginare che nel mondo esiste una sovrapproduzione stimata in 620 milioni e che salirebbe a 721 milioni nel 2027.
Geopolitica sullo sfondo
In pratica, consumiamo un quinto dell’acciaio in eccesso sul mercato globale e per questo l’UE punta sui dazi per rilanciare la produzione interna. Si tratta certamente di difendere posti di lavoro, dopo che se ne sono persi quasi 100.000 dal 2007. Ma la proposta assume un significato più strategico. L’acciaio è fondamentale per l’industria bellica. Il nostro continente non può dipendere dalle importazioni per produrre armi. Adesso, spetterà all’Europarlamento e al Consiglio europeo esaminare le misure annunciate. L’eventuale via libera arriverebbe nei primi mesi del 2026 e l’entrata in vigore sarebbe a partire dal luglio del prossimo anno.
I dazi sull’acciaio non arrivano a caso. Rientrano in quell’accordo neanche tanto segreto siglato dall’UE con gli USA nei mesi scorsi. La Casa Bianca ha abbassato le sue pretese sui dazi imposti alle merci comunitarie al 15%. In cambio, Bruxelles dovrà fare fronte comune contro la Cina. L’amministrazione Trump ha evidenziato che Pechino non possa essere considerato un partner commerciale, bensì un avversario dal punto di vista geopolitico.
Reazione stizzita della Cina
La Camera di Commercio cinese ha reagito negativamente all’annuncio europeo. Ha fatto notare come il Dragone nel 2024 abbia esportato nell’UE appena 368.000 tonnellate, pari al 4% delle sue intere esportazioni e per un controvalore di 3,5 miliardi di euro. Questo dato segnalerebbe la bassa incidenza delle importazioni dalla Cina su un dato complessivo di 26,36 milioni di tonnellate. In teoria, stando all’Organizzazione Mondiale per il Commercio, gli stati esportatori di acciaio verso l’UE per una quota inferiore al 3% complessivo sarebbero esclusi dalle variazioni dei dazi.
Il problema è politico. La Cina fa dumping. Lo scorso anno, avrebbe prodotto qualcosa come più di 110 milioni di tonnellate oltre i consumi interni. Usa le esportazioni per abbattere la concorrenza con prezzi sottocosto. Nel dicembre del 2015 l’amministrazione Obama reagì imponendo maxi-dazi sull’acciaio cinese, e non solo. Gli eccessi di produzione in Cina distruggono capacità produttiva in Occidente, sebbene negli USA si registra una discreta ripresa proprio a partire dai dazi di un decennio fa.
E Trump li ha di recente innalzati del 50% verso tutti, inclusi per l’alluminio. Con l’UE la tariffa scende al 25% a seguito dell’accordo commerciale.
Dazi su acciaio avvia decoupling con Cina
I mercati vanno chiudendosi. E’ la storia di questi anni. Per chi aveva puntato esclusivamente sui mercati asiatici per crescere, è una batosta. Non a caso sta patendo più di tutti la Germania, che al massimo deve accontentarsi di schivare la recessione per il terzo anno di fila in questa fase. L’UE è stata messa alle strette dall’alleato americano: o con Washington o con Pechino. Perdere del tutto l’accesso al mercato più ricco del mondo, oltre al sostegno militare della superpotenza, è un lusso che non ci possiamo permettere. I dazi sull’acciaio saranno una delle tante misure che porteranno al nostro decoupling con Cina e Russia.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

