Ieri, il mercato obbligazionario sovrano americano ha lanciato un nuovo segnale che va nella direzione di una graduale normalizzazione, alias peggioramento delle condizioni. Il rendimento del Treasury a 30 anni è risalito per la prima volta da un anno a questa parte al 2%, segnando un incremento di 35 punti base da inizio anno. Nel frattempo, il decennale a stelle e strisce è risalito all’1,19%, anche in questo caso ai livelli più alti dal febbraio dello scorso anno, prima che la pandemia facesse irruzione in Occidente.

Quest’anno, segna già +26 punti base.

Quello che sta succedendo è che il mercato starebbe scontando una reflazione in corso, non solo negli USA. Ad esempio, il “breakeven” a 5 anni, vale a dire la differenza tra rendimento del Treasury quinquennale con cedola fissa e quello legato all’inflazione, si è portato al 2,28%, praticamente ai massimi da 8 anni. Nel marzo 2020, era arrivato a crollare a un minimo dello 0,14%. Questo spread viene monitorato per stimare l’inflazione attesa dal mercato nel medio-lungo termine. A conti fatti, adesso gli investitori starebbero prevedendo una crescita tendenziale media dei prezzi al consumo negli USA superiore al 2%, il target fissato dalla Federal Reserve.

Il mercato Treasury si rafforza, ma le aspettative d’inflazione negli USA salgono ai massimi da 8 anni

L’impatto sul cambio euro-dollaro

Questo implicherebbe anche l’assenza di ulteriore margini di manovra per l’istituto. Il surriscaldamento delle aspettative d’inflazione sta avvenendo contestualmente alla preparazione dell’amministrazione Biden di un maxi-piano fiscale da 1.900 miliardi di dollari, con cui il nuovo presidente punta a sostenere l’economia americana dopo il Covid-19. Tra maggiore offerta di titoli del debito e minori attese per un ulteriore allentamento monetario, i rendimenti USA stanno risalendo ed esibiscono una curva mai così ripida sin dal 2015.

Lo spread tra Treasury a 30 anni e quello a 5 anni si è portato a 150 punti base.

Nel marzo scorso, era sprofondato in area 50 e a inizio 2018 a soli 20 punti, facendo intravedere una recessione economica in arrivo. In teoria, una curva che diventa sempre più ripida preannuncia buone notizie per l’economia, in quanto gli analisti intravedrebbero un’inflazione crescente nel tempo, frutto di una maggiore dinamica dei consumi e degli investimenti.

Per il cambio euro-dollaro, questo rapido stravolgimento sull’obbligazionario americano avrebbe grosse ripercussioni. Abbiamo visto che esso si è apprezzato a inizio anno fino ai massimi dalla primavera del 2018, guadagnando circa il 14% in 8 mesi. Proprio i deflussi dei capitali dagli USA avrebbero depresso il dollaro e i Treasuries. Man mano che i timori peggiori per l’economia mondiale sono venuti meno, i prezzi dei “safe assets” si sono sgonfiati e i capitali hanno iniziato a dirigersi verso porti meno sicuri e più remunerativi. Tuttavia, con un decennale americano praticamente all’1,20% contro un Bund di pari durata ancora ieri al -0,43%, due sono le cose: o i rendimenti nell’Eurozona lievitano per adeguarsi un minimo al trend americano o il cambio euro-dollaro tornerà a scendere sotto 1,20 per effetto dei ri-afflussi dei capitali verso gli USA, dove i bond stanno diventando ancora più relativamente remunerativi. La seconda ipotesi sembra la più probabile, dato che la BCE ha espresso l’intenzione di sostenere l’economia con anche nuovi stimoli monetari, qualora necessari, avvertendo di monitorare con attenzione il cambio per non importare deflazione dal resto del mondo.

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