Le ultime sedute sono state particolarmente negative per i titoli di stato italiani, oggetto di vendite sul mercato secondario. Il “sell-off” è stato scatenato giovedì scorso dall’ultima riunione del board della Banca Centrale Europea (BCE). L’istituto ha annunciato che ci saranno ulteriori e “significativi” aumenti dei tassi d’interesse e che gli acquisti di bond saranno ridotti da marzo al ritmo di 15 miliardi di euro al mese. Le previsioni sull’inflazione nell’Eurozona sono state riviste complessivamente al rialzo per il triennio prossimo e il governatore Christine Lagarde ha fatto intendere che Francoforte non cesserebbe la stretta monetaria neppure dinnanzi a una recessione economica moderata.

Il BTp a 10 anni ha visto schizzare il rendimento da meno del 3,80% a più del 4,30%. Lo spread con i titoli di stato tedeschi della medesima scadenza si è impennato da 180 a quasi 215 punti base. Divaricamento anche sulla scadenza a 2 anni, dove i BTp passano dal 2,65% al 3,10%. Qui, le distanze con il Bund salgono da 50 a 70 punti base. In ogni caso, siamo ben al di sotto dei livelli di allarme.

Titoli di stato italiani al sicuro? Anzitutto, capiamo le ragioni delle vendite. Gli investitori avevano comprato molti BTp nelle scorse settimane in scia alla convinzione che la BCE avrebbe allentato la stretta sui tassi. L’inflazione era vista in discesa, sensazione confermata con il calo di novembre. Le parole di Lagarde in conferenza stampa hanno parzialmente smentito tale previsione. La BCE sembra intenzionata a battere l’inflazione senza se e senza ma.

Titoli di stato, evitare il pessimismo

A rigore, nulla di imprevedibile o sconvolgente. La BCE fa il suo mestiere, che consiste nel mantenere la stabilità dei prezzi e nel riacciuffarla quando questa sembra essere smarrita. Lo spread sale per il semplice motivo che il debito pubblico italiano è avvertito meno sostenibile in un ambiente di forti rialzi dei tassi e di crisi dell’economia.

Tuttavia, non dobbiamo eccedere con il pessimismo. In primis, perché quest’anno il costo di emissione medio è sì esploso, ma solo all’1,30% circa. A fronte di un’inflazione media in area 8%. L’Italia sta continuando a finanziarsi sui mercati a costi reali estremamente negativi.

Il secondo motivo di relativo ottimismo sta proprio nella BCE. E’ vero che ridurrà gli acquisti di titoli di stato da marzo, rifinanziando le scadenze per 15 miliardi in meno. D’altro canto, negli scorsi mesi aveva ridotto già gli acquisti netti di BTp e aumentato quelli dei Bund proprio nell’ottica di accrescere le proprie munizioni per il caso di bisogno. Adesso che lo spread è tornato ad allargarsi, probabile che torni a fare il contrario. Se non bastasse, è stata la stessa Lagarde ad avvertire che ci sarebbe sempre il TPI a disposizione. E’ lo scudo varato nel giugno scorso per tenere sotto controllo i rendimenti nell’area.

Ad avviso di chi scrive, questa fase negativa potrebbe avere durata breve e finire con le festività. Se il dato sull’inflazione nell’Eurozona a dicembre risultasse ancora in discesa, il mercato tornerà a scontare un allentamento della stretta. Peraltro, il cambio euro-dollaro è salito fino a 1,07, ai massimi da oltre sei mesi. Ciò giova ad allentare la pressione sulla BCE, la cui retorica da “falco” è voluta per riassestare le aspettative di chi investe. I titoli di stato italiani, infine, non rischiano alcunché nei portafogli. Saranno rimborsati alla pari alle relative scadenze. Chi ha comprato come investimenti a lungo termine, non ha senso che vada in paranoia per l’altalena dei prezzi di questa fase. Non c’è nulla di anomalo o imprevisto.

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