Stati Uniti nel caos istituzionale. Lo speaker della Camera, Kevin McKarthy, è stato sfiduciato nella serata di martedì da parte della sua stessa maggioranza e il suo posto è temporaneamente vacante. Non era mai successo nell’era moderna. La deposizione avviene a pochi mesi dal suo insediamento e nel bel mezzo delle trattative tra repubblicani e democratici per evitare la chiusura delle attività federali o “shutdown”. I deputati trumpiani non hanno apprezzato il cedimento dell’ormai ex speaker a favore delle richieste della Casa Bianca.

Senza un accordo, tra poche settimane le principali attività finanziate dal governo federale dovranno essere sospese. L’impatto sarebbe negativo sull’economia e, soprattutto, sulla percezione che i mercati finanziari hanno a proposito della governance di Washington. Non a caso, il T-bond a 10 anni ha visto esplodere ulteriormente il rendimento in direzione 5%.

Agenzie rating minacciano USA

Le stesse agenzie di rating nutrono da tempo dubbi circa la sostenibilità fiscale della superpotenza, il cui debito è arrivato a ridosso del 130% del PIL. Dopo che in agosto anche Fitch ha tolto la tripla A ai T-bond, resta solo Moody’s tra le principali agenzie ad assegnare loro ancora il massimo giudizio. Tuttavia, ha avvertito nei giorni scorsi che l’eventualità di uno “shutdown” minaccerebbe tale rating.

I numeri spiegano cosa starebbe accadendo ai T-bond e perché i rendimenti sono esplosi ai massimi dal 2007. Come sappiamo, i principali creditori degli Stati Uniti sono Giappone e Cina. Il primo deteneva nel luglio scorso 1.112,5 miliardi di dollari in titoli del debito americano, la seconda 821,8 miliardi. Un anno prima, le rispettive detenzioni si attestavano a 1.230,7 e 939,2 miliardi. In valore, una discesa di oltre 235 miliardi. In termini percentuali, i due sono passati in un anno dal possedere circa il 9,3% del debito complessivo degli Stati Uniti al 7,7%.

Asia difende tassi di cambio

Contando tutti i creditori stranieri, scopriamo che le esposizioni sono cresciute di quasi 80 miliardi in un anno.

Verrebbe da dire che il mondo non stia affatto mollando i T-bond. Tuttavia, nel frattempo le emissioni sono esplode di 1.765 miliardi. Dunque, in termini percentuali il resto del pianeta possedeva a luglio il 30,6% del debito USA contro il 32,2% di un anno prima. Non un crollo drammatico, ma bisogna vedere cosa sia accaduto negli ultimi due mesi, che coincidono con il boom dei rendimenti negli Stati Uniti.

Anzitutto, perché il mondo si sgancerebbe dai T-bond? Ci sarebbero dietro ragioni economiche e geopolitiche. Prendete proprio Giappone e Cina. Le rispettive valute stanno precipitando contro il dollaro. Lo yuan è sceso ai minimi dal 2007, lo yen si è riportato ai minimi da un anno a quota 150, praticamente agli stessi livelli del 1990. Solo per limitarci alla seconda e terza economia mondiale, esse hanno la necessità di tutelare i tassi di cambio. Come? Vendendo dollari, ovvero titoli del debito in essi denominati, e cessando gli acquisti netti di T-bond.

T-bond vittime di guerra al dollaro?

In altre parole, mentre Washington continua a indebitarsi come se non ci fosse un domani, il resto del mondo non è più in grado o voglioso di finanziarne gli squilibri fiscali. Anche perché la Cina sta orchestrando insieme agli alleati noti impropriamente come Brics una “guerra” al dollaro. E quale migliore occasione, se non quella di tagliare progressivamente gli acquisti di T-bond per fare capire come stiano davvero le cose? Gli Stati Uniti hanno confidato per troppi anni eccessivamente sulla capacità e volontà dell’Asia, in particolare, di investire sul loro mercato sovrano. Non hanno adottato una politica fiscale equilibrata e l’estrema litigiosità politico-istituzionale ha impedito la ricerca di soluzioni condivise per arrestare la corsa del debito.

Come abbiamo avvertito di recente, Washington rischia di alimentare una grave crisi fiscale mondiale, scaricando anche sull’Europa gli effetti della propria inadeguatezza circa le politiche di bilancio.

Finita (apparentemente) l’era delle stamperie della Federale Reserve, la domanda di T-bond è crollata. Solo un tonfo ulteriore dell’inflazione indurrebbe il governatore Jerome Powell ad allentare nuovamente la politica monetaria, sostenendo i prezzi dei titoli e abbattendone i rendimenti. Per il momento i segnali non vanno in tale direzione.

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