Ormai, anche il mercato sovrano italiano è diventato avaro di rendimenti. Una buona notizia per Tesoro e contribuenti, che sosterranno minori costi per il rifinanziamento dei debiti in scadenza e per l’emissione dei nuovi; pessima per gli investitori, che si trovano dinnanzi a minori opportunità di remunerazione decente. Il BTp 2067 offre all’incirca il 2% lordo, qualcosa come l’1,70% netto. In tempi di inflazione negativa, tutto di guadagnato e più che sufficiente per giudicare positivo l’affare. Ma basterebbe una reflazione modesta per spegnere gli entusiasmi.

Ad agosto, il rendimento medio dei nostri titoli di stato sul mercato secondario è stato dello 0,66%, in calo dallo 0,80% di luglio e lontanissimo dall’1,46% a cui era salito nell’aprile scorso. Dati i costi ormai sempre più bassi per emettere debito, perché il Tesoro non prende in considerazione l’ipotesi di emettere un BTp a 100 anni o anche detto “perpetuo”?

Un BTp a 100 anni sarebbe buona notizia per l’Italia?

L’Austria ci provò per la prima volta nel settembre di 3 anni fa e allora venne considerato un grosso successo l’essere stata in grado di emettere un titolo a 100 anni con cedola di appena il 2,10%. Nel giugno scorso, ne ha emesso un secondo con scadenza stavolta 2120 e cedola 0,85%. Da allora, il primo bond (scadenza 2117) ha guadagnato il 10%, salendo in area 205, il secondo circa il 20%, attestandosi a 119. In entrambi i casi, il rendimento lordo si aggira in area 0,50%.

Il fatto è che l’Italia non è l’Austria e sui mercati gode di una credibilità assai minore. Lo segnala la stessa curva dei rendimenti, che per quanto storicamente molto bassa, risulta pur sempre la più elevata in tutta l’Eurozona, insieme a quella della Grecia. Il mercato teme che l’alto debito pubblico italiano non possa essere prima o poi onorato, anche a causa della cronica bassa crescita della nostra economia.

BTp 100 anni, quale rendimento?

Se Roma volesse emettere un BTp a 100 anni, oggi come oggi quale livello di rendimento dovrebbe offrire? Tenuto conto che il BTp più longevo sin qui emesso sia quello in scadenza nel marzo 2067 e che, come sopra detto, offra intorno al 2%, anche ammettendo che il tratto ultra-lungo della curva si mostri quasi piatto, dovremmo scontare una cedola non inferiore al 2,50-3% per cercare di attirare i capitali. E ci stiamo tenendo bassi.

Questo significherebbe che per ogni 1 miliardo di indebitamento secolare, dovremmo spendere sui 25-30 milioni all’anno di interessi, che nell’arco di 100 anni farebbero 2,5-3 miliardi, il triplo del capitale. Non solo sarebbe di per sé troppo, ma si finirebbe per contenere la discesa della spesa per interessi, che sull’intero stock di debito sinora emesso oggi vale all’incirca proprio il 2,5%. E il Tesoro non è nelle condizioni di potersi permettere di non risparmiare sugli interessi corrisposti agli obbligazionisti.

Certo, per contro il mercato percepirebbe un consolidamento del debito, venendo questo restituito tra un secolo, quando il pil nominale italiano dovrebbe attestarsi su valori enormemente più alti. Tuttavia, non trattandosi di “safe assets”, alla minima variazione al rialzo dei rendimenti di mercato, le quotazioni dei BTp “perpetui” imploderebbero, data l’altissima duration. E il caso dell’Argentina ha dimostrato come non sia saggio investire a lunghissimo termine sul debito di un’economia traballante e con gravi problemi fiscali. Forse, prima o poi ci arriveremo anche noi, ma solo se la BCE lascerà intravedere una copertura più o meno esplicita e durevole delle emissioni ultra-lunghe.

Le caratteristiche di un BTp perpetuo per superare la crisi fiscale da Coronavirus

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