Facciamo un gran parlare di rendimenti negativi, ci raccontiamo che praticamente non esisterebbe più paese che emetta debito a rendimenti sopra lo zero, salvo scoprire che così sempre non è nella stessa Europa. E non ci riferiamo chiaramente né ai BTp, né tanto meno agli screditati bond della Grecia. Parliamo delle obbligazioni di stato in corone norvegesi, la cui curva delle scadenze risulta tutt’ora interamente positiva. Persino se guardassimo alle brevissime scadenze, come i titoli a 3 mesi, scopriremmo che i rendimenti di questo stato nordico siano ben sopra l’1%, superando gli stessi livelli italiani.

Il decennale, invece, offre oggi l’1,17%, per cui la curva qui si mostra invertita.

Com’è possibile? La Norvegia non fa parte dell’Unione Europea, sebbene sia ad essa legata da un accordo commerciale di libero scambio. Ha un ciclo economico disallineato rispetto al resto del Continente, anche perché essa è produttrice di petrolio e risente direttamente delle oscillazioni del Brent sui mercati internazionali. Contrariamente a quanto stia avvenendo praticamente nel resto del mondo, la banca centrale si è vista costretta ad alzare i tassi tre volte dal settembre scorso, l’ultima a giugno, portandoli all’1,25%. Questo, per ridurre l’inflazione, che nel corso dello scorso anno era arrivata al 3,5%, l’1% sopra il target.

Grazie all’aumento del costo del denaro, la corona norvegese quest’anno si è mantenuta stabile contro l’euro, pur mostrando una parte iniziale dell’anno positiva e una seconda, dalla tarda primavera scorsa, negativa. Queste dinamiche non sono casuali, riflettendo l’andamento del petrolio, le cui quotazioni sono state in ascesa fino ai 75 dollari ad aprile-maggio, crollando nelle settimane successive e scendendo sotto i 60 dollari nelle ultime sedute. Naturale il legame con la corona norvegese, visto che il greggio pesa per quasi il 60% delle esportazioni e circa un sesto del pil in Norvegia.

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L’effetto cambio sulle obbligazioni norvegesi

Le obbligazioni di stato norvegesi sono pregiate, per due ragioni essenziali: godono della tripla “A” come rating e sono espressione di un debito pubblico effettivamente negativo per Oslo.

Già, perché se si tiene conto del fondo sovrano da oltre 1.000 miliardi di dollari, alimentato proprio dai proventi petroliferi, la Norvegia presenta un debito pubblico a circa il -90% del pil, cioè ha assets di gran lunga superiori alle passività. Comprare i suoi titoli di stato è qualcosa che dire sicuro è poco, equivale ad essere pagati per mettere i soldi sotto il materasso.

Questo non significa che non comporti l’assunzione di qualche rischio. Come avrete intuito, per un investitore dell’Eurozona, la principale preoccupazione riguarda il cambio. Prendiamo tre obbligazioni sovrane: il bond 25 maggio 2021, cedola 3,75% (ISIN: NO0010572878), offre attualmente l’1,11% lordo e dall’inizio dell’anno ha segnato un calo dei prezzi dell’1,5%; il bond 24 maggio 2023, cedola 2% (ISIN: NO0010646813), rende l’1,05% e ha guadagnato quest’anno lo 0,8%; molto meglio è andata ai possessori del bond 17 febbraio 2027, cedola 1,75% (ISIN: NO0010786288), che ha reso poco meno del 5% da inizio 2019.

Si direbbe che questi titoli dimostrino la bontà dell’investimento sulle scadenze medio-lunghe, con la parte breve della curva ad avere risentito, invece, del rialzo dei tassi. Ma se il petrolio registrasse ulteriori tensioni nei prossimi mesi, cioè se si stabilizzasse sotto i 60 dollari o continuasse la discesa, la corona norvegese con ogni probabilità s’indebolirebbe (già ha perso il 3,5% in 3 settimane), per cui i guadagni teorici esitati dai bond verrebbero spazzati via dalle variazioni del cambio. Per contro, la BCE dovrebbe allentare ulteriormente la sua politica monetaria, cosa che offrirebbe sostegno alla corona, ceteris paribus. Va detto, però, che la stessa Norges Bank potrebbe avere completato la stretta, essendo l’inflazione ridiscesa sotto il 2%, ai minimi da un anno e mezzo.

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