Il 2020 non è stato un anno sensazionale per il mercato dei “green bond”, le cui emissioni non sono cresciute di molto rispetto all’anno precedente. Ma c’è un motivo: gli emittenti si sono concentrati su altri segmenti dei bond ESG, in particolare sui progetti di lotta contro la pandemia. Complessivamente, le emissioni “verdi” avrebbero toccato i 270 miliardi di dollari, mentre il complesso dei sostenibili ha superato i 732 miliardi. Quest’anno, le prime dovrebbero beneficiare di un vero salto di qualità, oltre che di quantità.

L’Unione Europea si è impegnata ad emettere green bond per il 30% dei 750 miliardi di euro destinati al Recovery Fund. Dunque, sul mercato starebbero per affluire 225 miliardi di euro (circa 270 miliardi di dollari) di obbligazioni “verdi”, che porterebbero il totale a oltre 500 miliardi nel mondo, circa il doppio rispetto ai livelli del 2020.

Peraltro, proprio Bruxelles intende regolamentare il mercato per minimizzare i rischi di “greenwashing”, cioè di progetti eco-sostenibili solo sulla carta e che nel tempo finirebbero per indisporre gli investitori, facendo venire meno la loro fiducia verso questa tipologia di emissioni. Ad ogni modo, il Vecchio Continente dovrebbe assumere la leadership di questo mercato, anche perché la Germania vi è entrata solamente da 4 mesi e l’Italia si accinge a farlo da qui a poche settimane con il suo primo BTp “verde”.

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Il futuro raggiante delle emissioni “verdi”

Dall’altra sponda dell’Atlantico, poi, abbiamo la futura amministrazione Biden, che da dopodomani inizierà a lavorare formalmente a un piano di rilancio dell’economia americana da 1.900 miliardi di dollari, i cui fondi verrebbero vincolati al raggiungimento di obiettivi ambientali. Una svolta quella di Washington, che nel tempo potrebbe portare gli USA ad essere un riferimento per queste emissioni. Peraltro, probabile che il nuovo governo faccia rientrare l’America nell’Accordo di Parigi, siglato a fine 2015 da quasi tutti gli stati e da cui l’amministrazione Trump si è ritirata.

I green bond si distinguono dal resto delle obbligazioni per il vincolo di destinazione dei fondi raccolti. Essi dovranno servire a tagliare le emissioni inquinanti. Esistono meccanismi svariati per incentivare comportamenti virtuosi delle società, come la fissazione di cedole più alte al mancato raggiungimento dei target intermedi prima della scadenza dei bond. Più che altro, l’inadempienza farebbe venire meno la fiducia futura degli investitori verso l’emittente. E per andare incontro ai timori di chi ritiene che molti ricorrano ai green bond semplicemente per farsi belli agli occhi del mercato, sono sorti anche titoli dalle condizioni più stringenti, cioè che fissano date entro cui le emissioni inquinanti dovranno risultare abbattute.

Ad ogni modo, la pandemia ha rappresentato un punto di svolta per il segmento ESG. Istituzionali e retail hanno quasi sentito il dovere di finanziare società e governi che hanno chiesto loro i fondi per contrastare il Covid-19 sul piano sanitario ed economico. L’attenzione per queste forme di debito vincolato a scopi precisi e socialmente sensibili resterà elevata anche nei prossimi anni, anche perché quanto sta accadendo nell’ultimo anno lascerà ferite e ricordi che non passeranno presto. L’investitore prenderà sempre più coscienza che la lotta alle malattie, all’inquinamento e alle forme più estreme di povertà dovrà essere sostenuta per non ritrovarsi effetti collaterali anche nel mondo ricco, data la globalizzazione dei mercati. Il successo dei green bond è solo agli inizi.

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