La BCE ha da poco annunciato che comprerà altri 500 miliardi di euro di obbligazioni e per 9 mesi in più rispetto ai termini che erano stati già rivisti nel giugno scorso. Fino al marzo del 2022, il sostegno straordinario dell’istituto ai mercati sovrani e corporate nell’Eurozona non verrà meno. E anche quando esso verrà meno, difficilmente cesserà di esistere anche il “quantitative easing”, il programma di acquisti ad oggi di 20 miliardi mensili. Le azioni ultra-espansive delle banche centrali nel mondo hanno fatto esplodere i prezzi degli assets finanziari, tra cui i bond.

I rendimenti di questi ultimi sono negativi ormai su una massa di titoli dal controvalore record di 18 mila miliardi di dollari. Il concetto di rendimento negativo è paradossale: chi s’indebita viene pagato da chi presta denaro.

E’ l’effetto dell’eccesso di liquidità sui mercati, destinato a rimanere ancora per parecchio tempo, non fosse altro che per le estreme conseguenze che avrebbe oggi un suo drenaggio in pochi mesi. Quando i rendimenti torneranno a salire, infatti, i prezzi ripiegheranno. Funziona sempre così: prezzi e rendimenti vanno in direzioni opposte. I primi reagiscono alle variazioni dei secondi in misura tanto più intensa, quanto più elevata sia la “duration”. Per semplificare, più le obbligazioni hanno durata lunga e cedola bassa e più risultano volatili.

Prendiamo i titoli di stato della Germania. Offrono rendimenti negativi lungo l’intera curva delle scadenze. Se oggi il Bund febbraio 2026 e cedola 0,50% dovesse risalire a un rendimento zero, la quotazione dovrebbe ridursi di circa il 4% rispetto all’attuale quasi 107. E il decennale, in scadenza nel febbraio 2031, avrebbe bisogno di deprezzarsi di oltre il 6% per tornare a offrire almeno lo zero percento. Il ventennale, scadenza luglio 2020 e cedola 4,75%, dovrebbe ripiegare, invece, del 5,50%. Infine, quasi il 6,50% sarebbe la perdita che subirebbe il trentennale zero coupon con scadenza nell’agosto 2050.

Bund 2050 ai massimi da marzo, guadagna il 9% in meno di due mesi

Le perdite a doppia cifra dell’Italia

E in Italia? Da noi, l’incipiente normalizzazione del mercato obbligazionario contemplerebbe la risalita dei rendimenti a medio-lungo termine almeno all’1%. E dovremmo ipotizzare che il trentennale si porti come minimo al 2% e il BTp “Matusalemme”, con scadenza marzo 2067, ad almeno il 2,50%. Tutti valori, è bene ribadirlo, abbastanza bassi sul piano storico. Ebbene, con il BTp aprile 2031 e cedola 0,90% (ISIN: IT0005422891) all’1%, la quotazione perderebbe il 4,6%. L’altro bond con durata residua di 10 anni, ma scadenza maggio 2031 e cedola 6% (ISIN: IT0001444378) perderebbe oltre il 5%. Molto peggio andrebbe al trentennale, scadenza settembre 2051 e cedola 1,70% (ISIN: IT0005425233): per tendere al 2% di rendimento, dovrebbe perdere ben il 12%. L’apice delle perdite, però, si avrebbe con il BTp 2067 e cedola 2,80% (ISIN: IT0005217390): -21% per rendere il 2,50%.

La buona notizia è che il rialzo dei rendimenti, almeno così drasticamente, non sarebbe questione di oggi e neppure di domani. Avverrà gradualmente e forse a partire dalla fine dell’anno prossimo, sempre che vi siano le condizioni per prevedere una normalizzazione monetaria nell’Eurozona. Nel frattempo, la “duration” sarà un po’ diminuita per via del trascorrere del tempo, con ciò infliggendo perdite minori ai detentori dei bond rispetto alle cifre ipotizzate. Per contro, abbiamo supposto una risalita non drastica dei rendimenti. Ad esempio, i decennali italiani dovrebbero offrire ben più dell’1% in tempi ordinari, così come i trentennali nettamente oltre il 2%. Dunque, il quadro resta allarmante. Nessuno s’illuda che questa situazione possa protrarsi a lungo senza finire per “bruciare” gran parte dei capitali investiti. I bond sono troppo apprezzati.

La lenta morta dei BTp (e non solo) per mano della BCE

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