Il Tesoro turco ha dato ieri mandato a Citi, Goldman Sachs e JP Morgan di collocare sul mercato un Eurobond suddiviso in due tranche e denominato in dollari. Secondo le prime indiscrezioni, la scadenza a 5 anni offrirebbe una cedola del 5,25%, quella a 10 anni del 6,25%. Tuttavia, a seguito dell’attesa alta domanda, il rendimento dovrebbe attestarsi in area 5% per la tranche 2026 e in area 6% per quella 2031. Non è stato specificato, invece, l’importo che Ankara intende raccogliere con l’emissione, anche se per Eurobond si indica solitamente un pezzo minimo di 500 milioni di dollari.

La Turchia ha emesso contestualmente anche 1 miliardo di lire a 15 mesi e al rendimento del 15,49%, nonché 2,48 miliardi di lire attraverso un titolo a 5 anni indicizzato e con rendimento periodico del 4,28%. Ad ogni modo, se le indicazioni della vigilia venissero confermate in queste ore, i due titoli in dollari offrirebbero qualcosa in più rispetto alle scadenze già circolanti. Il bond 14 aprile 2026 e cedola 4,25% (ISIN: US900123CJ75) ieri si aggirava attorno a un rendimento del 4,75%, mentre il 15 gennaio 2031 e cedola 5,95% (ISIN: US900123DA57) offriva circa il 5,75%. Nell’arco di due settimane, hanno perso rispettivamente l’1,5% e il 3%.

Il mercato obbligazionario turco non ha approfittato dell’azzeramento globale dei tassi, continuando a registrare rendimenti elevatissimi per una fase come questa e, addirittura, in forte ascesa negli ultimi mesi. In effetti, se in gran parte del mondo l’inflazione è molto bassa o persino negativa, qui viaggia su ritmi che a dicembre hanno quasi raggiunto il 15% su base annua, a causa del crollo della lira turca, a sua volta provocato da una politica monetaria non ortodossa.

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Rischi anche a carico dei bond in dollari

I bond in dollari ci riparano dal rischio di cambio della lira, pur esponendoci a quello della divisa americana, da attendersi relativamente contenuto contro l’euro.

Ma non si creda che ciò di per sé escluda una qualche possibile crisi fiscale della Turchia. Man mano che la lira s’indebolisce contro le principali valute estere, il debito in esse denominato diventa sempre più caro per il governo, incidendo per una percentuale maggiore del PIL e assorbendo maggiori risorse per il pagamento delle cedole. Inoltre, per pagare i bond emessi sui mercati esteri bisogna possedere sufficiente valuta allo scopo, al netto di quella che serve alle imprese per importare beni e servizi e agli stessi privati per pagare le proprie esposizioni con i creditori stranieri.

La Turchia ha proprio questo problema: basse riserve valutarie – negative se calcolate al netto delle operazioni swaps – e un elevatissimo debito totale a breve termine. Affinché questo scenario non scivoli verso il default, la lira dovrà continuare a svalutarsi fino al punto di rendere le imprese turche sufficientemente competitive da azzerare i deficit commerciali e da attirare capitali dal resto del mondo. Ma ciò implica il rischio di una crisi finanziaria, conseguenza di quanto dicevamo sopra sull’aumentato peso del debito estero da una parte e per i riflessi che avrebbe sull’inflazione e la politica monetaria, ergo la crescita economica. In sostanza, il rischio default per gli Eurobond turchi non va sottovalutato, per quanto non stiamo parlando di livelli elevati in assoluto o di uno scenario imminente.

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