Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha comunicato che l’Iraq ha fatto formalmente richiesta di ottenere prestiti per 6 miliardi di dollari. La notizia ha subito rinvigorito le obbligazioni sovrane di Baghdad in valuta americana. Il titolo con scadenza 9 marzo 2023 e cedola 6,752% (ISIN: XS1662407862) ha guadagnato quasi 85 centesimi ed è salito in area 97,50, offrendo un rendimento annuo lordo dell’8,15%. Su base annua, perde circa il 2%, pur essendo rimbalzato di oltre il 35% dai minimi toccati in aprile, quando il prezzo del petrolio era sceso ai livelli più bassi da oltre 20 anni.

E l’altra scadenza in dollari, 15 gennaio 2028 e cedola 5,8% (ISIN: XS0240295575), anch’essa ha guadagnato il 35% da aprile, ma resta di oltre l’1% in calo su base annua, rendendo oggi sopra il 7,10%.

Il governo iracheno prevede per quest’anno un deficit di 71 mila miliardi di dinari, circa 49 miliardi di dollari, qualcosa come oltre il 20% del PIL. L’economia domestica è fortemente dipendente dal petrolio, che incide per il 99% delle esportazioni e il 90% delle entrate fiscali. In teoria, però, il paese non avrebbe bisogno di quotazioni nettamente più elevate di quelle attuali per giungere al pareggio di bilancio. Gli basterebbe tendere a 64 dollari al barile.

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Debito iracheno rischioso

Ad ogni modo, i bond iracheni sono classificati come “junk” o “spazzatura” da tutte le principali agenzie di rating: B- per S&P e Fitch, Caa1 per Moody’s. Dunque, presenta un altissimo rischio sovrano. Nel 2020, il PIL sarebbe collassato del 12%, più di ogni altro membro OPEC del Golfo Persico. E per pagare gli stipendi pubblici, Baghdad ha dovuto intaccare le riserve valutarie di 25 miliardi di dollari, tant’è che a dicembre la banca centrale ha svalutato il cambio del 19%, portandolo a 1.460 dinari contro un dollaro. A causa della crisi e delle spese legate alla pandemia, il debito pubblico è salito al 68% del PIL e dovrebbe continuare a lievitare anche quest’anno.

Gli aiuti dell’FMI non coprirebbero l’intero deficit atteso per il 2021, ma almeno contribuirebbero a contenere il calo delle riserve valutarie. Per questo le obbligazioni si sono apprezzate nelle ultime ore. Il mercato sta scontando, in effetti, un minore rischio sovrano per l’aumento delle disponibilità dell’Iraq con le quali fronteggiare i pagamenti con l’estero. Inoltre, il governo ha prudentemente fissato in 4,1 miliardi di dollari gli aiuti che riceverà quest’anno da Washington in sede di redazione del bilancio, al contempo strappando a una società cinese un pre-accordo per ottenere 2 miliardi, garantiti dal greggio.

E’ evidente che stiamo parlando di un paese molto a rischio per via anche delle vicissitudini geopolitiche che lo riguardano. Baghdad è riuscita dopo anni di scontri violenti a sconfiggere l’ISIS e adesso si ritrova assoggettata all’Iran, che da potenza nemica degli USA potrebbe interferire negativamente sulla concessione degli aiuti dell’FMI. Pesa, infine, la durata di questa crisi sanitaria mondiale, che terrà verosimilmente basse le quotazioni del greggio ancora per un po’, impattando sulle entrate e alimentando la corsa al debito e la riduzione delle riserve valutarie.

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