Ieri, i rendimenti dei titoli di stato americani sono scesi lungo la curva, con il Treasury decennale ad offrire fino a un minimo di 1,0689% (-2,5 punti base) e la scadenza a 2 anni lo 0,107%. In questo secondo caso, si è trattato di un livello appena al di sopra dei minimi storici toccati nel maggio scorso allo 0,105%. Il tratto biennale riflette sostanzialmente le attese del mercato sui tassi d’interesse della Federal Reserve, mentre quello decennale perlopiù le attese d’inflazione nel lungo periodo.

La lieve discesa dei rendimenti USA sarebbe la conseguenza dell’annuncio da parte del Tesoro di minori emissioni di titoli nei primi mesi di quest’anno. Nel periodo gennaio-marzo, ammonteranno a 274 miliardi di dollari, un valore nettamente inferiore ai 1.127 miliardi stimati a novembre. Nel secondo trimestre, invece, saranno pari a 95 miliardi netti, assumendo disponibilità liquide per 500 miliardi per fine giugno. Il dato, poi, è stato stimato al netto di possibili nuovi stimoli fiscali, di cui parleremo tra poco.

Quel che emerge palesemente è che il governo americano intenda puntare principalmente, in questa fase, sull’impiego dell’enorme liquidità accumulata nei mesi scorsi e che sarebbe pari a 1.600 miliardi. Nel primo semestre, quindi, 1.100 miliardi di emissioni verrebbero risparmiate grazie proprio all’uso di tali scorte. E il presidente Joe Biden ha incontrato nei giorni scorsi un gruppo di 10 senatori repubblicani, al fine di trovare un accordo sul maxi-piano da 1.900 miliardi, che la nuova amministrazione vorrebbe varare a sostegno dell’economia americana. L’opposizione si è detta disponibile a trattare su un piano di soli 618 miliardi.

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E’ evidente che la destra cederà qualcosa e la stessa maggioranza andrà incontro alle richieste dell’opposizione. Tuttavia, il mercato starebbe iniziando a scontare un piano di stimoli meno poderoso di quello atteso fino a qualche settimana fa.

E, in fondo, ciò non può che far bene ai Treasuries per due ragioni essenziali: la prima, perché sarebbero necessarie minori emissioni; la seconda, perché il minore sostegno all’economia americana ridurrebbe l’appetito per il rischio, tenendo alta la domanda di “safe assets”.

Detto questo, le aspettative d’inflazione negli USA si stanno surriscaldando piuttosto velocemente. Stando alla differenza tra i rendimenti quinquennali dei Treasuries con cedola fissa e quelli dei TIPS (Treasuries legati all’inflazione), sarebbe del 2,26% in media per i prossimi 5 anni, il valore più alto dal marzo 2013, 8 anni a questa parte. Nel marzo dello scorso anno, era crollato a un minimo dello 0,16% e al termine del terzo trimestre 2020 si attestava ancora all’1,50%. Considerate che il target d’inflazione della FED è del 2% e, per quanto il governatore Jerome Powell abbia annunciato una certa tolleranza per periodi d’inflazione sopra il target, questi numeri rivelerebbero come sul piano degli stimoli monetari l’istituto avrebbe le mani legate d’ora in avanti. Anche sui 10 anni, le aspettative rimarrebbero sopra il 2%.

Stando agli ultimi dati disponibili, il rendimento reale a 10 anni negli USA risulta oggi del -0,30%, nettamente superiore al -1,50% del decennale tedesco. Paradossale che possa sembrare, ancora oggi i titoli del debito americano continuano a mostrarsi relativamente convenienti, dato che offrono rendimenti meno negativi di quelli europei. Tra le pochissime eccezioni, abbiamo proprio i BTp, che a fronte di uno 0,60% circa offerto sulla scadenza a 10 anni, sconta una lieve deflazione a dicembre dello 0,20%, per cui il suo rendimento reale si attesta in area 0,80%, oltre +1% rispetto al Treasury di pari durata.

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