Venerdì scorso, la Reserve Bank of India ha tagliato i tassi di un altro quarto di punto percentuale al 5,75% per la quinta volta quest’anno. Ciononostante, il mercato obbligazionario domestico non ne sta approfittando, almeno non più. Rispetto all’inizio dell’anno, i rendimenti del bond sovrano a 10 anni sono scesi dello 0,75% al 6,70%, quelli del bond a 2 anni dell’1,25% al 5,86%, ma i primi erano arrivati al 6,33% a luglio e da allora sono tornati a salire. Lo stesso cambio tra rupia indiana e dollaro perde quest’anno l’1,6%, attestandosi a 70,70, un valore più alto di quel 68,45 a cui si era portato a fine giugno.

Hanno certamente pesato le tensioni recenti sul petrolio, essendo l’India un’economia importatrice di energia e con un deficit commerciale in partenza già cronicamente elevato.

Tuttavia, ad avere fatto cessare i guadagni sono state le aspettative del mercato sulla politica fiscale di Nuova Delhi. Il governo di Narendra Modi, fresco di riconferma elettorale e con un mandato più forte del previsto, ha annunciato un piano di tagli alle tasse da 20 miliardi di dollari e il potenziamento degli investimenti per migliorare le carenti infrastrutture dell’immenso sub-continente asiatico. Per questo, gli analisti stimano che le emissioni di debito sovrano aumenteranno di 800 miliardi di rupie e che faranno lievitare quelle fissate per la seconda parte dell’anno fiscale in corso (ottobre 2019/marzo 2019) a 2.680 miliardi di rupie sui 7.100 miliardi dell’intero anno.

Non tutti i petro-bond approfittano degli attacchi iracheni e l’India paga dazio

Dunque, la maggiore offerta attesa ha invertito la tendenza dei mesi scorsi, sganciando l’obbligazionario indiano dall’andamento globale. Non aiuta certamente l’estrema chiusura di questo mercato al resto del mondo. Su 1.600 miliardi di dollari di debito sovrano negoziabile sul mercato, appena 92 miliardi (5,75%) risulta accessibile agli investitori stranieri, a causa delle severe limitazioni poste in essere dalla legislazione nazionale.

A dire il vero, proprio in questi giorni il governo mediterebbe di allentare i vincoli, così da attirare maggiori capitali stranieri. L’apertura riguarderebbe i soli investitori passivi e avrebbe come finalità l’inserimento dei bond indiani negli indici internazionali, così com’è avvenuto dall’aprile di quest’anno in Cina, le cui obbligazioni sono state inserite con gradualità nel Bloomberg Barclays Global Aggregate.

Attesa per nuovo bilancio

L’inserimento dei bond indiani avverrebbe entro i prossimi 20 mesi e consentirebbe al mercato domestico di usufruire della maggiore liquidità internazionale, magari potendo così assistere a costi di rifinanziamento più bassi. In effetti, aldilà delle considerazioni sul cambio, l’India avrebbe potuto approfittare meglio di questo trend globale, dati i rendimenti relativamente elevati offerti dai suoi titoli, praticamente il quadruplo di quelli americani sulla scadenza decennale. Come detto, però, l’accesso dall’estero è praticamente inesistente, per cui i miglioramenti restano possibili sulla base della sola domanda interna, di dimensioni ridotte.

Non a caso, per superare l’ostacolo erano state ipotizzate anche emissioni di bond sovrani in dollari, cosa che ha fatto scattare dalla sedia parte dello stesso governo e degli economisti indiani, tutti preoccupati dei possibili impatti negativi sui conti pubblici da un indebolimento del cambio. L’idea sarebbe stata accantonata per adesso. A potere migliorare l’outlook sarebbe anche una politica fiscale meno espansiva delle previsioni. Tuttavia, solo con la presentazione del nuovo bilancio nel febbraio prossimo ne sapremo effettivamente di più. Al momento, le smentite del governo di maggiori emissioni e la conferma dei target non sono bastate.

L’India conferma emissioni di obbligazioni sovrane in dollari, governo ed economisti divisi

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