Spread BTp-Bund sotto i 200 punti base per la scadenza a 10 anni e rendimenti decennali crollati di 110 punti base (1,10%) dalla fine di maggio. Il rischio sovrano italiano è percepito significativamente più basso rispetto a solo qualche mese fa, perlopiù grazie all’ulteriore accomodamento monetario segnalato dalla BCE. Un ruolo positivo lo ha svolto, comunque, anche la mancata procedura d’infrazione contro il governo italiano per deficit eccessivo. Per capire quanto del minore rischio sia dovuto alle minori probabilità scontate per lo scenario “Italexit”, vale a dire l’uscita dell’Italia dall’euro, come già abbiamo scritto nella primavera scorsa, dovremmo seguire l’andamento dei BTp in dollari.

Italia a rischio di uscita dall’euro o di ristrutturazione del debito?

In passato, il Tesoro ha emesso titoli di stato denominati nella valuta USA e quest’anno tornerà a farlo per la prima volta dopo 9 anni. Due sono i bond di questo tipo in circolazione ad oggi: il BTp settembre 2023, cedola 6,875% (ISIN: US465410AH18) e il BTp giugno 2033, cedola 5,375% (ISIN: US465410BG26). Il primo offre un rendimento del 3,04%, il secondo del 4,09%. In entrambi i casi, trattasi di livelli significativamente superiori ai BTp in euro di simile durata, rispettivamente allo 0,64% e all’1,95%. In altre parole, questi bond in dollari offrono un rendimento extra di 260 punti base nel primo caso e di 214 nel secondo.

Cosa ci dicono questi dati? Che il mercato si aspetta che il cambio euro-dollaro si apprezzi di quasi l’11% da qui alla scadenza del BTp settembre 2023 e di circa il 30% entro la metà del 2033. A questo sarebbe dovuta la pretesa del rendimento extra per i BTp in dollari. E rispetto ai Treasuries? Troviamo che lo spread di questi titoli sia all’incirca di 120 bp per la scadenza a 4 anni e di 190 per il 2033. Questa differenza è dovuta al diverso profilo di rischio dell’Italia rispetto agli USA, cioè al fatto che siamo considerati debitori meno sicuri del governo federale americano.

Si sgonfia il rischio Italexit

Rispetto all’inizio dell’anno, i BTp in dollari sono rincarati del 3,8% per il 2023 e del 5,7% per il 2033. Tuttavia, i BTp di pari durata ed emessi in euro hanno segnato l’uno il +2,3% e l’altro quasi il 13%. In sostanza, sul tratto medio-lungo della curva hanno stravinto i titoli italiani emessi in euro, perché probabilmente alla lunga il mercato si attende che l’euro si apprezzi contro il dollaro, mentre da qui al medio-breve termine lo scenario appare meno certo, data la stessa direzione impressa da Federal Reserve e BCE alle rispettive politiche monetarie. E se ci fosse dell’altro, ovvero se sui titoli in euro quest’anno si fosse sgonfiato il rischio percepito di ristrutturazione e/o ridenominazione in lire?

BTp, rischio default (nullo) e opportunità per i risparmiatori italiani impauriti

Premessa: se l’Italia uscisse dall’unione monetaria, ad essere oggetto di eventuale ridenominazione dei BTp in lire sarebbero i titoli del debito emessi in euro e non quelli in dollari. Pertanto, i secondi sarebbero teoricamente privi del rischio “Italexit”. Stando così le cose, se su una scadenza lo spread BTp-Bund si allarga rispetto a quello BTp-Treasury, significa che il mercato starebbe scontando un maggiore rischio di uscita dall’euro per l’Italia. Viceversa, nel caso opposto. E quest’anno, lo spread BTp-Treasury per la scadenza 2023 si è ristretto da 186 a 120 bp, per la scadenza 2033 da 200 a 190. Nel frattempo, lo spread BTp-Bund per i titoli in euro è passato nel primo caso da 208 a 135 bp, nel secondo da 355 a 220.

Tirando le somme, l’extra-rendimento preteso per i titoli in euro italiani rispetto a quelli tedeschi, in relazione allo spread sulle medesime scadenze tra BTp e Treasuries, è sceso da 22 a 13 bp per il bond 2023, da 155 a 30 per il 2033.

In altre parole, se già all’inizio dell’anno si scontava un rischio “Italexit” molto basso per il medio periodo, permanendo dubbi sul lungo termine, adesso non preoccupa nemmeno quest’ultimo. Semmai, gli alti spread con la Germania, a questo punto, sarebbero la spia di un rischio sovrano percepito e legato alla sostenibilità del debito italiano, non alla sua conversione futura in lire. Il mercato teme che potremmo fallire, ma restando nell’euro!

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