Anche il Golfo Persico approfitta del rally obbligazionario e il piccolo regno del Bahrein ha emesso ieri bond in dollari per 2 miliardi, i primi da quando nel 2018 ha dovuto fare ricorso agli altri stati dell’area (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait) per un salvataggio da 10 miliardi. Nel dettaglio, sono stati collocati sul mercato “sukuk” per 1 miliardo, rendimento del 4,50% e scadenza 2027 e 1 miliardo di titoli ordinari con scadenza 2031 e rendimento 5,625%. Le stime preliminari vedevano le obbligazioni compatibili con la Sharia islamica in area 4,875-5% e quelle rivolte più agli investitori esteri al 5,875-6%.

La revisione al ribasso segnala il buon riscontro sul mercato, non scontato per le criticità finanziarie a cui il paese è esposto in questi anni per via della crisi del petrolio.

A fronte degli aiuti promessi e di cui 2,3 miliardi ricevuti nel 2018 e altri 2,28 attesi per quest’anno, il Bahrein ha fissato il pareggio di bilancio entro il 2023, da centrare attraverso tagli ai sussidi e l’introduzione dell’IVA al 5%. Ma la vera speranza della monarchia risiede nella scoperta di un maxi-giacimento da 80 miliardi di barili al largo delle sue coste, le quali surclasserebbero le riserve petrolifere sin qui possedute e pari solamente a 125 milioni di barili, che ai ritmi estrattivi attuali (appena 40.000 barili al giorno) si esaurirebbero nel giro di 8-9 anni.

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Grazie alla scoperta, nei prossimi anni le esportazioni potrebbero impennarsi, irrobustendo la ripresa economica e facendo affluire molta più valuta straniera, quando ad oggi le riserve valutarie ammontano a soli 1 miliardo di dollari a fine luglio, giù dagli 1,45 del maggio scorso. Per gli obbligazionisti sarebbe la più forte polizza di assicurazione contro il rischio di default, dato che il bond emesso ieri è denominato proprio in dollari USA. La domanda è se il rendimento offerto sia adeguato ai rischi e quali siano questi ultimi.

I rischi dell’investimento in obbligazioni del Bahrein

Premettiamo che il Bahrein ha rating speculativo, cioè “non investment grade” o “spazzatura”, pari a “B2” per Moody’s, “BB-” per Fitch e “B+” per S&P. Il salvataggio dello scorso anno si è reso necessario con un debito pubblico arrivato al 93% del pil per via degli ingenti deficit di bilancio accusati con il crollo delle quotazioni del greggio, i quali avevano spinto il mercato a pretendere rendimenti sempre più alti per acquistare i bond sovrani. Dunque, ci troviamo dinnanzi a obbligazioni “high yield”, che comportano l’assunzione di un rischio di credito non indifferente, sebbene tra gli stanziamenti già effettuati e la volontà dei vicini del Golfo Persico di non lasciare fallire il regno, difficilmente il Bahrein andrebbe in default, anche nel caso di ulteriori tensioni finanziarie.

Quanto al rischio di cambio, si consideri che il dollaro USA dovrebbe deprezzarsi contro l’euro di circa il 22-23% da qui alla scadenza del 2031, almeno stando alle previsioni del mercato, come da spread Treasury-Bund. Questo significa che il rendimento effettivo per un investitore europeo sarebbe alla scadenza di circa il 3,75%, che oggi come oggi non offre nessun titolo di stato europeo, nemmeno i bond “spazzatura” della Grecia per le scadenze più lunghe. Dunque, sarebbe un affare, anche se i “credit default swaps” a 255 punti segnalano una probabilità di fallimento del regno del 4,25% entro 5 anni, superiore al 3,6% della Grecia o al 2,3% dell’Italia.

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Si noti che l’eventuale indebolimento del dollaro contro le altre valute colpirebbe certamente il valore del capitale rimborsato alla scadenza, ma al contempo renderebbe meno probabile il rischio di credito del Bahrein, allentando la pressione sul suo tasso di cambio semi-fisso o “peg” e, quindi, sulle riserve valutarie.

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