Ci sono 11 gradi sotto zero oggi a Mosca, ma la temperatura in Russia è calda in queste settimane. Con l’arresto di Aleksej Navalny, rientrato dalla Germania dove era stato curato a seguito di un avvelenamento, la capitale è teatro di proteste partecipate da parte di decine di migliaia di cittadini che chiedono al presidente Vladimir Putin il rilascio in libertà del suo oppositore politico. A parte questo, il Cremlino non avrebbe motivi di lamentarsi in questa fase. Come sapete, la Russia è una principale economia esportatrice di petrolio, la seconda produttrice al mondo dopo gli USA con estrazioni giornaliere superiori ai 10 milioni di barili al giorno.

E ieri il Brent si attestava sopra i 63 dollari, vale a dire ai livelli più alti da 13 mesi. Come se la pandemia non fosse mai esistita. In questo dato, tuttavia, c’è il maxi-taglio dell’offerta da parte dell’OPEC Plus, organismo con cui la Russia collabora ormai da anni dall’esterno.

Biden per ora non fa male alla Russia: bond e rublo su insieme al petrolio

Ad ogni modo, oggi come oggi un barile di Brent a Mosca frutta più di 4.600 rubli, tenuto conto del tasso di cambio contro il dollaro. Dovete pensare che nel giugno 2014, quando le quotazioni del greggio arrivarono sui 110 dollari, un barile faceva incassare meno di 3.750 rubli, a causa di un cambio molto più forte di oggi e ancorato al dollaro. In altre parole, il rublo sembrerebbe oggi sufficientemente deprezzato per consentire allo stato russo di incassare entrate fiscali più abbondanti del previsto. E non a caso, esso si è rafforzato dell’1,5% quest’anno, ai massimi da oltre un mese. Se continuasse ad apprezzarsi, sarebbe un buon esito per gli investitori stranieri in possesso di assets in valuta locale, tra cui bond e azioni.

Il 2020 per Mosca si è chiuso con un deficit al 3,8% del PIL, tutto sommato abbastanza contenuto.

L’anno prima c’era stato un surplus di bilancio dell’1,9%. Per quest’anno, invece, le attese sono per un deficit in area 2,4%, ma considerate che il bilancio dello stato è stato basato sulla previsione di un prezzo medio del barile di 45,30 dollari, quasi 20 dollari in meno delle quotazioni attuali. Per questo, gli analisti ritengono che il disavanzo fiscale effettivo risulterà decisamente inferiore al 2%, anche perché nel frattempo il PIL crescerà tra il 2,5% e il 4%, dopo essere sceso del 4% nel 2020.

Debito russo appetibile

Il debito sovrano russo è “investment grade”: rating BBB- per S&P e Fitch, Baa3 per Moody’s. Certo, a un solo gradino dall’area “junk”, ma non parliamo certo di uno stato alle prese con problemi di conti pubblici. Il 2020 si è chiuso con un rapporto tra debito e PIL di appena il 17%, quasi 10 volte più basso dell’Italia, che gode di giudizi appena migliori. Congruo il livello delle riserve valutarie, a 590,7 miliardi di dollari a fine 2020. Tutto questo per dirvi che il debito russo sia diventato molto appetibile. La scadenza a 2 anni offre quasi il 4,90%, quella a 10 anni poco meno del 6,60%. Livelli ancora relativamente elevati, che risentono anche di un’inflazione al 5,2% a gennaio, praticamente sestupla rispetto all’Eurozona e quasi quadrupla rispetto agli USA. Da notare l’assenza di margini ulteriori perché la Banca di Russia tagli i tassi, già al 4,25%, nettamente sotto i livelli d’inflazione.

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Il vero rischio insito nelle obbligazioni di stato russe è di tipo politico. Non è un mistero che la Russia di Putin goda di cattivi rapporti con la UE e gli USA di Joe Biden e il caso Nalvalny rischia di deteriorare il clima già teso sin dal 2014 dopo l’occupazione della Crimea.

Ma il Cremlino possiede un’arma con la quale tenere a bada le tensioni: Sputnik. Il vaccino russo si sta rivelando tra i più efficaci tra quelli attualmente in commercio nel mondo. E con un’Europa a corto di dosi per coprire in fretta la sua popolazione, si moltiplicano gli appelli a Bruxelles per intavolare trattative con Mosca. Difficile che ciò accada contestualmente alla comminazione di ulteriori sanzioni da parte dell’Occidente.

Ad ogni modo, se non voleste esporvi al rischio di cambio del rublo, potreste ripiegare sempre per i bond in valute forti. La scadenza in dollari 31 marzo 2030 e cedola 7,75% (ISIN: XS0114288789) offriva ieri il 5%. L’altra, sempre in dollari, con data di rimborso fissata per il 16 settembre 2043 e cedola 5,875% (ISIN: XS0971721963) rendeva il 2,92%. Se voleste, poi, annullare del tutto il rischio di cambio, potreste optare direttamente per titoli in euro. La scadenza 20 novembre 2032 e cedola 1,85% (ISIN: RU000A102CL3), emessa tre mesi fa, si mostra anch’essa interessante di questi tempi, pur non imperdibile sul piano del rendimento. Quale che sia la scelta, il debito russo con questi prezzi del greggio e questo rublo a buon mercato appare allettante.

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