Secondo il Fondo Monetario Internazionale, quest’anno il debito pubblico italiano sfiorerebbe il 160% del PIL, mentre la crescita economica non rimbalzerebbe oltre il 3%, accelerando al 3,6% nel 2022. Tuttavia, esso rimarrebbe “sostenibile”, grazie ai bassi tassi di mercato, conseguenza della politica monetaria ultra-espansiva della BCE. Resta il fatto che le prospettive a medio-lungo termine per i conti pubblici dell’Italia siano diventati ancora più allarmanti di quanto non lo fossero prima del Covid. L’ideale sarebbe sfoltire le scadenze nei prossimi anni tagliando le emissioni medio-brevi e potenziando quelle medio-lunghe, cioè allungando la vita media dello stock di debito.

Il Tesoro ha emesso nel 2016 il bond più longevo della sua storia, il BTp marzo 2067 e cedola 2,8% (ISIN: IT0005217390), la cui durata residua nel frattempo è scesa a 46 anni e 1 mese. Questo titolo, data l’alta “duration”, è risultato molto volatile negli anni, spaziando da un minimo inferiore ai 77 centesimi del novembre 2018 a un massimo di oltre 136 toccato nella seduta dell’8 gennaio scorso. Da allora, complice la crisi di governo, ha perso qualcosa, segnando un -2% questo mese e offrendo un rendimento lordo dell’1,61%, pari all’1,41% netto.

BTp marzo 2067, ennesimo record e +30% in un anno

Ribattezzati bond “Matusalemme” per via della sua durata molto lunga, ne sono stati emessi per un importo totale di 9,6 miliardi di euro in oltre 4 anni. Pochi, a dire il vero, dato che l’emissione dell’ultima tranche risale al luglio 2019, quando furono collocati sul mercato 3 miliardi di euro, al rendimento lordo del 2,88%. Nel frattempo, esso si è praticamente dimezzato, per cui sarebbe un’opportunità ghiotta per il Tesoro rifinanziarsi su questa scadenza con ulteriori tranche. Invece, niente. Come mai? Basterebbe leggere un dato: nel 2020, il costo medio di emissione degli oltre 550 miliardi di titoli di stato è sceso allo 0,59%. Ciò ha consentito paradossalmente al governo di continuare a ridurre la spesa in interessi, malgrado il boom del debito.

Bond “Matusalemme” opportunità per Tesoro e mercati

Indebitandosi più sulle scadenze lunghe, i risparmi sarebbero inferiori. Questo è il principale motivo, se non l’unico, per cui il Tesoro non si mostra intenzionato ad allungare la vita media del debito in misura sostanziale. Tuttavia, i bassi tassi attuali non sappiamo se saranno in vigore anche nei prossimi anni. Se così non fosse, avremmo perso un’occasione storica per rifinanziarci con rendimenti minimi e rinviare i pagamenti di una porzione cospicua delle scadenze tra diversi decenni.

Per ipotesi estrema, se tutto il debito pubblico italiano scadesse nel 2067, non dovremmo preoccuparci di quale sarebbe la condizione sui mercati tra un mese, un anno o anche 10 anni, perché da qui ai prossimi 46 anni non dovremmo rimborsare alcun creditore. E i 9,6 miliardi di BTp 2067 sin qui emessi sono nulla rispetto alle dimensioni del PIL che l’Italia avrebbe alla scadenza, anche solo scontando un tasso di crescita nominale dell’1,5% medio annuo. Peserebbero per lo 0,3%, quando in questi anni stiamo rimborsando titoli finanche oltre il 20% del PIL. Dunque, esistono notevoli margini per appesantire la scadenza senza incorrere in alcun problema di liquidità alla data del rimborso. Oltretutto, se il Tesoro si decidesse di mostrarsi seriamente intento a finanziarsi su scadenze perlopiù lunghe o lunghissime, la reazione del mercato sarebbe verosimilmente positiva, dati gli effetti stabilizzanti sul debito. E in questa fase, in cui gli investitori sono a caccia di rendimento, la domanda di bond longevi ci sarebbe tutta. Un vero peccato che non sia stato questo il modo di ragionare dei governi che si sono succeduti in anni di pacchia assoluta sui mercati.

Il BTp 2067 quest’anno ha dimezzato lo spread con la Spagna, ulteriori guadagni ancora possibili

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