Era il giugno del 2021 quando Poste Italiane emise un bond perpetuo dell’importo di 800 milioni di euro (ISIN: XS2353073161). Come suggerisce già l’espressione, abbiamo a che fare con un’obbligazione senza scadenza. Questo significa che, formalmente, l’obbligazionista potrebbe non ricevere mai il rimborso del capitale. Per questa ragione, i titoli di tal genere tendono ad offrire rendimenti superiori a quelli esitati dagli stessi emittenti con scadenze certe. All’emissione, il bond perpetuo di Poste offrì un rendimento pari a 60 punti base sopra il BTp a 50 anni.

Quest’ultimo possiamo considerarlo il confronto più diretto, essendo il bond del Tesoro più longevo.

Struttura cedolare

La struttura cedolare si rivela interessante. Tasso di interesse fisso e pari al 2,625% fino al 24 giugno 2029. A partire da quella data, l’emittente ha due possibilità: rimborsare il capitale o andare avanti con il pagamento delle cedole, che diverranno variabili per i successivi cinque anni. Esse saranno pari all’IRS a 5 anni più un margine del 2,677%. Tale spread sarà ulteriormente incrementato dello 0,25% alla seconda data di reset del 24 giugno 2034 e per i successivi quindici anni. Infine, dal 24 giugno 2049, sempre che il capitale non fosse rimborsato, ulteriore aumento dello 0,75%.

Quotazione a 76 centesimi, rendimento su

Alla Borsa di Lussemburgo, il bond perpetuo di Poste tratta a poco più di 76 centesimi nelle ultime sedute. Consideriamo l’ipotesi che l’emittente decida di effettuare il rimborso del capitale alla prima data di reset tra poco più di cinque anni e mezzo. Ci verrebbe pagato a 100, quando abbiamo pagato il titolo a circa 76. La plusvalenza lorda supererebbe il 31%. Su base annua, sfiorerebbe il 5%. E aggiungendo la cedola effettiva, cioè rapportata alla quotazione di acquisto, il rendimento alla scadenza risulterebbe all’incirca dell’8,40%.

Se facciamo il confronto con il BTp giugno 2029, il cui rendimento giace al momento sotto il 4,10%, saremmo dinnanzi a un premio nell’ordine dei 430 punti base o 4,30%.

Pur a fronte di una maggiore tassazione, è evidente che sarebbe un affare, anche perché Poste è una società controllata dallo stato tra Tesoro e Cassa depositi e prestiti. In buona sostanza, il rischio di credito sarebbe molto basso.

Rimborso bond perpetuo dipende da costi emissione

Da cosa dipenderebbe il rimborso o meno del capitale nel giugno 2024? Dai costi di emissione del nuovo debito. Se per allora Poste riuscisse a rifinanziarsi sui mercati a costi inferiori a quelli che pagherebbe continuando a versare le cedole ai possessori del bond perpetuo, troverebbe conveniente annullare quest’ultimo con l’emissione di un titolo più economico. Oggi come oggi, la prima cedola variabile per i successivi cinque anni sarebbe in area 5,80%. L’IRS a 5 anni si aggira, infatti, intorno al 3,10%. A parità di IRS, Poste dovrebbe essere in grado da qui a metà 2024 di emettere obbligazioni a lunga scadenza con rendimenti sotto il 5,80% per permettersi di rimborsare il bond perpetuo. E’ chiaro che se i tassi di mercato si abbassassero per allora, il rimborso sarebbe agevolato.

Date le basse quotazioni, evidentemente il mercato ci spera poco. Attenzione, però, anche a un fattore reputazionale. Gli obbligazionisti confidano che il rimborso avvenga già alla prima data di reset. E’ un patto non scritto con la platea degli emittenti e contraddirlo porterebbe a una perdita di fiducia verso la capacità di Poste di onorare gli impegni. Certo, il rimborso di per sé comporta il rischio tassi. Gli obbligazionisti saranno privati di cedole verosimilmente più elevate di quelle che riuscirebbero a spuntare sui mercati alle nuove condizioni.

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