Non è un buon momento per i bond emergenti, i quali risentono negativamente dell’avversione al rischio sui mercati in piena guerra ucraina. Non aiuta neppure il rialzo dei tassi americani, che attira flussi dei capitali dal resto del mondo verso gli USA. Tuttavia, esistono felici eccezioni. E una di queste è l’Ecuador, uno stato di medio-piccole dimensioni dell’America Latina con una popolazione di neppure 18 milioni di abitanti e un PIL pro-capite che quest’anno dovrebbe attestarsi sui 6.000 dollari.

Nel 2020, il paese andò in default e dovette ristrutturare il suo debito sovrano.

Un anno fa, i mercati tremarono all’idea che alla presidenza potesse arrivare un uomo di ispirazione marxista. Invece, a sorpresa al ballottaggio vinse il candidato conservatore Guillermo Lasso con proposte di politica economica moderate e improntate al libero mercato e al consolidamento fiscale, pur senza passare per aumenti delle imposte. Fino al primo turno delle elezioni presidenziali, i bond emergenti caddero per riprendersi subito dopo.

Prendiamo le obbligazioni di stato con scadenza 31 luglio 2030 e cedola 5% in dollari (ISIN: XS2214238284): sprofondate a un minimo di 53 centesimi agli inizi di marzo, ieri si attestavano sopra 86,60 centesimi. In un anno registrano un balzo del 50%. Stesso dato per le obbligazioni con scadenza 31 luglio 2040 e cedola 0,5% (ISIN: XS2214239175), passate in un anno da 40 a 60 centesimi. E se consideriamo che nel frattempo il cambio euro-dollaro è sceso di circa il 7%, gli investitori dell’Eurozona risultano avere guadagnato effettivamente intorno al 57%.

Bond emergenti controcorrente con Lasso presidente

Le agenzie di rating hanno migliorato i loro giudizi sui bond dell’Ecuador, pur restando molto bassi: B- per S&P e Fitch, Caa3 per Moody’s. Sono titoli “spazzatura” e ad altissimo rischio default. Tuttavia, la crescita del PIL per quest’anno è attesa al 2,9%, il debito dovrebbe scendere nel lungo termine a poco sopra il 60% del PIL e il deficit di quest’anno dovrebbe attestarsi intorno al 2%.

Secondo Lasso, nel corso del 2022 non dovrebbero esserci nuove emissioni in dollari, grazie ai proventi del petrolio e alle entrate fiscali. In effetti, le esportazioni nette di greggio ammontano a quasi il 5% del PIL.

C’è da aggiungere che la banca centrale non avrebbe teoricamente bisogno di aumentare i tassi d’interesse, già al 7,3% contro un’inflazione di appena il 2,7%. Di recente, il presidente si è recato in Cina, dove ha strappato due accordi: la rinegoziazione dei prestiti bilaterali per 4,6 miliardi di dollari e la sottoscrizione di un Accordo di Libero Scambio (FTA) tra i due paesi. Questo secondo è stato piuttosto criticato dagli analisti internazionali, che temono che l’Ecuador finisca per indebolire la sua già fragile struttura produttiva con l’apertura alle merci cinesi.

Ad ogni modo, questi bond emergenti si sono apprezzati così tanto per il miglioramento dell’outlook economico del paese sudamericano. Ciò non toglie che l’Ecuador sia uscito dal default solamente nell’estate del 2020. Ma i capitali stranieri dovrebbero continuarlo a premiare, in considerazione del fatto che alle urne sia andato controcorrente rispetto alle affermazioni della sinistra radicale in paesi come Bolivia, Perù, Honduras e persino Cile. In attesa di capire quale fine farà la Colombia a maggio, dove già domenica scorsa alle primarie si è registrata la netta affermazione delle forze di sinistra.

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