Il rame non smette di correre. Stamattina, al London Metal Exchange viaggiava sui 9.187 dollari per tonnellata, ai massimi dal settembre 2011 e solamente di circa il 10% in meno rispetto ai record storici toccati nel febbraio di 10 anni fa. Da inizio 2021, il metallo ha messo a segno un rialzo del 18,5%. L’apprezzamento odierno è sostenuto dal dollaro debole, ma in generale è lo squilibrio del mercato ad avere un forte ruolo nel boom. La domanda cresce sull’ottimismo per le vaccinazioni e la ripresa economica globale, mentre l’offerta tende a contrarsi, specie per effetto del calo delle estrazioni nel Perù.

Le scorte sono stimate a sole 75 mila tonnellate, mai così basse nell’ultimo decennio, generando una forte carenza che sta riflettendosi nei prezzi.

Perché vi diciamo questo? Il Cile è uno dei principali produttori di rame con un quarto del mercato mondiale. Il 40% delle sue esportazioni sono dovute a questa materia prima. Eppure, nelle ultime settimane i bond emessi dallo stato sudamericano stanno subendo un discreto deprezzamento, come testimonia il rialzo dei rendimenti: la scadenza a 2 anni è scesa quest’anno dallo 0,50% allo 0,43%, ma quella a 10 anni è salita dal 2,82% al 3%. Va meglio al cambio, di poco rafforzatosi contro il dollaro e che attualmente si è riportato ai massimi da inizio anno. Dai minimi di ottobre, guadagna il 12%.

Non va meglio per i bond in euro e dollari. A subire le contrazioni maggiori rispetto ai picchi di gennaio sono i secondi, ma anche i primi cedono vistosamente. Il titolo a 10 anni in euro in un mese e mezzo è sceso da una quotazione in area 105,50 a una inferiore a 103,70. Quella a 30 anni ha debuttato sul mercato a 97,67 e oggi si trova a 93,20. Male anche la scadenza a 40 anni in dollari: da 101,68 dello scorso 2 febbraio a 96,47 di oggi.

Bond cileni tornati appetibili con il “floor” toccato sui mercati

L’impatto della corsa sul rame sui bond cileni

Cosa succede? La reflazione globale in corso dopo i mesi più cupi della pandemia sta aumentando i rendimenti nominali richiesti dagli investitori, il cui maggiore appetito per il rischio li allontana dal comparto obbligazionario, specie sovrano.

Tuttavia, nel caso del Cile le cose starebbero un po’ diversamente. Qui, il boom dei metalli avrebbe un effetto positivo sul tasso di cambio, sostenendone il rally, il quale si rifletterebbe nei mesi sull’inflazione, la cui corsa al 3,1% di gennaio sarebbe destinata a cessare e a lasciare il passo a un calo.

Peraltro, il boom darebbe una mano alla crescita economica, riducendo il rischio sovrano cileno. Il discorso vale sia per i bond in valuta locale che per quelli in valuta estera. Sui primi sarebbero possibili guadagni grazie al fattore cambio, oltre che per la possibile minore inflazione domestica che si rifletterebbe sui rendimenti. I secondi ne uscirebbero rafforzati grazie all’aumento delle riserve valutarie, le quali per un investitore straniero rappresentano la garanzia principale della sostenibilità dei pagamenti.

In conclusione, la corsa del rame farà bene al Cile, che in questa fase ha bisogno di un sentiment migliore dopo i fatti dell’autunno 2019, quando decine di manifestanti rimasero uccisi in scontri con la polizia, scatenando proteste di massa contro il governo, mai così massicce e violente dal ritorno alla democrazia nel 1990. Quegli avvenimenti hanno segnato negativamente il mercato obbligazionario e lo stesso cambio, ma il Cile si mostra un’economia quasi atipica per il Sud America, caratterizzata da ricchezza diffusa e da un’efficiente gestione fiscale e monetaria.

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