Obbligazioni dell’Argentina in tracollo verticale ieri sulle elezioni primarie di domenica, vinte a mani basse dal candidato peronista e ostile alle riforme della presidenza Macri. Se la borsa ha perso in chiusura di seduta il 38% e il peso è stato falcidiato da un altro -20%, scendendo ai nuovi minimi storici contro il dollaro, non è andata meglio ai bond. Il titolo a 100 anni, quello con scadenza 2117 ha accusato niente di meno che un tonfo del 20,5%, scendendo a una quotazione di 58,75 e offrendo ora un rendimento del 12,8%.

Il bond secolare venne emesso nel 2017 e fu accolto allora come prova del successo delle prime riforme avviate da Mauricio Macri, un caso più unico che raro il collocamento sul mercato di un titolo così longevo per un’economia emergente e, oltre tutto, per due volte in default solamente nel quindicennio precedente.

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Pur essendo denominato in dollari, non ha retto nemmeno esso alla tempesta che ieri ha travolto qualsiasi asset che abbia a che fare con Buenos Aires. Ma non è stato l’andamento peggiore, perché il bond gennaio 2027 e cedola 6,875%, anch’esso in dollari, ha registrato un ancora più pesante 25,3%, chiudendo a un prezzo di 59. Attualmente, rende intorno al 21%. E il titolo in euro, scadenza dicembre 2033 e cedola 7,82%, non è stato da meno con il -22,25%, salendo a un rendimento superiore al 16%.

I rischi dei Tango bond

Opportunità di investimento o rischio troppo alto? I “credit default swaps” raccontano di una probabilità di fallimento dell’Argentina entro 5 anni del 72%, in netto aumento dal 49% stimato venerdì scorso. Forse appare eccessiva la reazione alla sconfitta di Macri, ma ciò non toglie che le condizioni economiche e finanziarie dell’economia sudamericana siano piuttosto gravi e che la congiuntura politica, favorevole dalla fine del 2015 con l’arrivo del centro-destra al governo, si farà quasi certamente anch’essa molto più severa.

Se è vero che i titoli in valute estere forti sarebbero quanto meno non esposte al rischio di cambio, per il resto ciò conforta molto poco.

Il crollo del peso (-64% da fine 2017) rende molto più onerosi i pagamenti delle scadenze in dollari ed euro da parte dell’Argentina, di fatto amplificando il rischio di default. Per contro, va riconosciuto che proprio la flessibilità garantita da Macri alle fluttuazioni del cambio ha accresciuto le riserve valutarie, che tra il 2011 e la fine del 2015 si erano sostanzialmente dimezzate e che da allora risultano quasi triplicate a 58,6 miliardi di dollari. E questi numeri fanno almeno sperare che i maggiori esborsi siano sostenibili.

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Le condizioni politiche, però, non depongono a favore di una lettura ottimistica. I peronisti non hanno dimostrato volontà di rispetto delle regole del mercato quando sono stati al governo fino a meno di 4 anni fa, facendo scattare un secondo default “tecnico” nel 2014, pur di non pagare i cosiddetti “fondi avvoltoi” americani, di fatto impedendo anche agli altri obbligazionisti di ricevere i pagamenti delle scadenze. Più in generale, l’economia indietreggia e il risanamento dei conti pubblici rischia di finire prima ancora di essere stato completato, aumentando la pressione proprio sui bond.

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