Il nuovo segretario al Tesoro americano, Janet Yellen, vorrebbe puntare sull’allungamento delle scadenze per il debito pubblico di Zio Sam, al fine di approfittare dei bassissimi tassi di mercato di questa fase. Rispunta l’ipotesi di emettere un Treasury a 50 anni, già circolata lo scorso anno quando i rendimenti sovrani USA crollarono a seguito della pandemia, ma alla quale l’ex segretario Steve Mnuchin dovette rinunciare, riscontrando scarso entusiasmo tra gli investitori. Tuttavia, analisti e politici si chiedono perché mai l’America non possa indebitarsi sulle lunghissime scadenze, quando lo hanno fatto governi ben meno solidi, tra cui l’Italia.

Lo scorso anno, l’Austria ha collocato sul mercato un nuovo bond a 100 anni, il secondo dopo quello con scadenza nel 2117 ed emesso nel settembre 2017. Questo verrà rimborsato a fine giugno del 2120 e offre cedola fissa annuale dello 0,85% (ISIN: AT0000A2HLC4). Dalla sua emissione a 98,01 centesimi, la quotazione risulta oggi salita di oltre il 25%. E dire che è crollata dell’11,5% da dicembre, quando sfiorò i 140. Allo stato attuale, offre un rendimento alla scadenza dello 0,50%. Una miseria, che non riuscirebbe a coprire neppure una minima reflazione.

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Il bond “generoso” di Israele

Ma non tutti i governi sono avidi come quello di Vienna. Sempre nel 2020, Israele emise un suo bond a 100 anni, ma denominato in dollari per attirare capitali esteri (quello domestico è di dimensioni limitate) e con una cedola del 4,50% (ISIN: US46513JB593), che potremmo definire ormai “maxi”. Il titolo è esploso in estate fino a toccare una quotazione di 150, ma da allora cede il 14%, scendendo sotto 130 e offrendo così un rendimento alla scadenza del 3,26%. Ad ogni modo, guadagna il 23% in 9 mesi.

Se fate i conti, il bond israeliano rende 6,5 volte in più di quello austriaco. Certo, un confronto diretto non sarebbe tecnicamente possibile.

Le due emissioni sono denominate in valute differenti: euro e dollaro. Dunque, dovremmo scontare un rischio di cambio nell’investire sul titolo dello stato ebraico, sebbene teoricamente dovremmo percepire, in ogni caso, un rendimento effettivo nettamente superiore a quello austriaco. Questo è dovuto al fatto che l’Austria, a differenza di Israele, è considerato un porto sicuro per gli investimenti, dati i rating elevati di cui gode: AA+ per S&P e Fitch, Aa1 per Moody’s. Più bassi, ma ugualmente medio-alti, quelli israeliani: AA- per S&P, A+ per Fitch e A1 per Moody’s.

Ad ogni modo, Israele è da considerarsi una meta relativamente sicura per i capitali, pur essendo il paese costantemente al centro di tensioni geopolitiche nello scacchiere mediorientale. La sua forte integrazione politica, economica e finanziaria con l’Occidente lo rende un’eccezione positiva nell’area. Oltretutto, i livelli di indebitamento restano contenuti rispetto alla media delle economie avanzate: meno dell’80% del PIL atteso alla fine di quest’anno. Peraltro, il titolo si presta ad essere usato in questa fase per scopi speculativi, date le elezioni anticipate in programma nel paese a marzo e il primato mondiale sinora conquistato circa la velocità delle vaccinazioni, con la prima dose già stata somministrata a un terzo della popolazione e la seconda a quasi un quinto. A questi ritmi, l’economia riaprirà prima delle altre, riprendendosi in anticipo, pur frenata da un contesto internazionale verosimilmente negativo ancora per diversi altri mesi.

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