Prima la chiusura dello spazio aereo sopra il Venezuela, subito dopo una telefonata tra il presidente Donald Trump e il suo omologo Nicolas Maduro con cui il primo ha rassicurato che un attacco americano non sarebbe “imminente”. Che si tratti del solito stratagemma negoziale del tycoon, noto con l’espressione “escalate the deal”? Massima pressione sull’avversario per indurlo a trattare da una posizione di relativa debolezza. Ma i bond sovrani iniziano a credere alle voci che Maduro possa auto-esiliarsi in un qualche stato estero amico, come Nicaragua o forse Cuba. E perché non la Russia dell’alleato Vladimir Putin?
Movimenti di mercato ieri
Ieri, la reazione del mercato obbligazionario alle tensioni geopolitiche del fine settimana è stata ambigua.
Alcuni titoli hanno registrato grossi aumenti di prezzo, altri un lieve calo. Discorso valido anche per quelli emessi dalla compagnia petrolifera statale PDVSA. La scadenza sovrana in dollari del 2028 ha segnato un balzo del 7,70% a 29 centesimi tondi, mentre la scadenza del 2027 ha ceduto mezzo punto percentuale a 30,50 centesimi. Col turbo anche la scadenza del 2038 a +4% e raggiungendo così i 28 centesimi.
Per quanto riguarda le obbligazioni di PDVSA, la scadenza del 2026 è salita del 2,8% a 24,25 centesimi e quella del 2035 è scesa dello 0,32% a 25,25 centesimi. In generale, quest’anno è stato molto positivo per i bond venezuelani e di PDVSA, a conferma che la fine del regime di Maduro è considerata non lontana. La scadenza del 2038, ad esempio, è schizzata da 12 a 28 centesimi in un anno: +133%.
Stando a una ricostruzione della stampa americana, il dittatore avrebbe offerto alla Casa Bianca le sue dimissioni entro 18 mesi pur di annullare i piani di attacco USA.
L’amministrazione Trump continuerebbe a valutare raid contro siti del narco-traffico. Non sembra intenzionata, inoltre, a concedere così tanto tempo ancora al regime “chavista”.
Ristrutturazione del debito davvero più vicina?
Perché i bond corrono con la prospettiva di un addio di Maduro? La speranza è che il successore avvii finalmente il negoziato per la ristrutturazione del debito a distanza di oltre 8 anni dal default. Una mossa che sarebbe resa possibile dall’allentamento o totale cancellazione delle sanzioni finanziarie e commerciali americane, così come anche da una gestione dell’economia meno incompetente. Un Venezuela nuovamente nell’alveo delle democrazie riuscirebbe ad attirare i capitali necessari per fare ripartire la sua industria petrolifera e riattivare la crescita.
Attenzione a non andare troppo avanti con la fantasia. Le condizioni dello stato andino sono attualmente più che disastrose. Non ci sono minimamente riserve valutarie sufficienti per permettere a Caracas di giungere a un accordo con i creditori internazionali. Questi sono in possesso di circa 64 miliardi di dollari di bond sovrani, oltre ad altrettanti emessi da PDVSA. Tanto per darvi un’idea dei numeri in gioco, le riserve valutarie ammontavano a fine ottobre ad appena 13,4 miliardi di dollari. E sono comprensive delle riserve auree, che incidono per la quasi totalità del valore.
Bond scontano fine di Maduro
Infine, siamo convinti che l’apparato militare, il quale sinora ha garantito pieno appoggio al “chavismo”, rinunci ai propri privilegi di casta per accettare il ritorno alla democrazia? I bond inizierebbero a credere alla fine politica di Maduro, ma non è detto che a succedergli sarebbe una figura meno autoritaria e incompetente.
Restano a sconto del 70-75% e già potrebbero essersi portati ai massimi livelli compatibili con un futuro esito della rinegoziazione affatto indolore per gli obbligazionisti.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

