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Oggi: 05 Dic, 2025

Le tensioni in Ucraina daranno una mazzata anche alle pensioni

La crisi internazionale crea tensioni anche nell’ambito della riforma pensioni. Come e perché i lavoratori pagheranno il conto più salato.
4 anni fa
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pensioni

L’escalation delle tensioni in Ucraina non fa bene nemmeno alle pensioni. Almeno a quelle che verranno. In questo senso la riforma in discussione al Ministero del Lavoro fra governo e sindacati potrebbe prendere una brutta piega.

Le conseguenze del recente atto di forza russo nei confronti dell’Ucraina sta infatti mettendo sotto pressione il costo delle materie energetiche. I prezzi delle forniture di gas sono già alle stelle, ma non stanno tardando a salire anche quelli delle altre materie prime.

Tensioni in Ucraina, tremano le pensioni

Fin qui niente di nuovo. E direte: cosa c’entra questo con le pensioni? Ebbene, come abbiamo visto a inizio anno, le pensioni 2022 sono state rivalutate del 1,9% rispetto all’anno precedente in conseguenza dell’aumento dell’inflazione.

Per il 2022 l’inflazione è destinata a salire ulteriormente proprio a causa del boom dei costi dell’energia. In previsione, anche se è presto per dirlo, si potrebbe arrivare di botto a un incremento doppio rispetto al 2021. Un bene per i pensionati, ma un male per l’economia.

In Italia i pensionati sono oltre 16 milioni e lo Stato spende quasi il 17% del Pil per mantenerli. Lo scorso anno sono stati stanziati circa 4 miliardi di euro per rivalutare le pensioni nel 2022. Quanti altri ne serviranno ancora per adeguare gli assegni nel 2023?

Uscite anticipate nel mirino del governo

Logico presupporre che, a fronte di simili rincari, lo Stato dovrà impegnarsi maggiormente sugli assegni in pagamento e stanziare altri miliardi a bilancio. E, considerato che il premier Draghi – come ha ribadito – non è disposto a tollerare ulteriori scostamenti di bilancio per finanziare le pensioni, è lecito domandarsi come lo Stato potrà sostenere la maggiore spesa prevista.

In buona sostanza, chi pagherà il conto? La risposta non è difficile da immaginare: i lavoratori. La riforma pensioni, già orientata verso un taglio delle uscite anticipate, riceverà per effetto della crisi internazionale l’avallo per un taglio più robusto di quanto in discussione finora.

I sindacati vorrebbero che ai lavoratori fosse data la possibilità di lasciare il lavoro a partire dai 62 anni o con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. Il governo punta, invece, all’uscita anticipata a 64 anni, ma col ricalcolo interamente contributivo della rendita, anziché misto.

In questo momento, l’ago della bilancia è orientato (per necessità) verso la seconda opzione. In altre parole, per sostenere gli aumenti previsti ai pensionati, si dovranno tagliare le pensioni anticipate.

Ecco le più favorevoli pensioni anticipate per gli invalidi e come è possibile nel 2025 uscire a 56 o 61 anni di età dal lavoro.
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