Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, lo aveva anticipato: entro Natale sarà resa nota la scelta del prossimo governatore della Federal Reserve. E in questi giorni circola già il nome del papabile successore di Jerome Powell, che sta per completare il secondo mandato. Si chiama Kevin Hassett, ha 63 anni ed è a capo del Consiglio economico nazionale, un organismo di ausilio per il governo degli Stati Uniti. L’economista è considerato vicino al presidente Donald Trump e alla sua strategia di tassi bassi per sostenere la crescita economica e abbattere il costo delle emissioni di debito.
Mercati puntano su nuovo governatore
Nei mesi scorsi, Hassett espresse sostegno anche riguardo un’altra misura identitaria della Casa Bianca: i dazi.
E sono queste posizioni a potergli garantire la nomina, che ufficialmente spetta a Bessent e che dovrà passare al vaglio della Commissione bancaria del Senato. I mercati ci credono. Ieri, il rendimento a 2 anni negli Stati Uniti era sceso al 3,46% dal 3,61% di neanche due settimane prima. Il rendimento a 10 anni si attestava esattamente al 4% dal 4,15% di metà novembre. In entrambi i casi, ai minimi da fine ottobre.
Dopo la pubblicazione dei dati sul lavoro di settembre, i mercati avevano rivisto decisamente al ribasso le probabilità di un nuovo taglio dei tassi di interesse a dicembre. Negli ultimi giorni, invece, queste sono risalite al 70%. E il nome di Hassett starebbe incidendo sulla revisione delle aspettative. Non si esclude che sia stato fatto circolare apposta negli ambienti governativi per mettere alle strette Powell e convincerlo a continuare a ridurre il costo del denaro dal 3,75-4% attuale.
Futuro incerto per tassi USA
Se davvero la nomina di Hassett o altri arriverà entro Natale, la FED vivrà una fase di transizione della durata di cinque mesi. Il mandato di Powell scadrà solo nel maggio del 2026 e fino ad allora il governatore uscente non potrà essere rimosso. Potrebbe anche accadere che, in previsione di un forte allentamento monetario, l’istituto decida di andarci cauto con il taglio dei tassi, volendo consegnare al prossimo governatore filo-trumpiano margini di manovra tangibili con un costo del denaro più alto e un’inflazione più bassa possibili.
A settembre l’inflazione USA era salita al 3%. Meno delle aspettative, ma pur sempre molto sopra il target del 2%. Fin dove si spingerebbe la FED? Tassi reali negativi colpirebbero probabilmente il dollaro e finirebbero per acuire la stessa inflazione. Quanto alla crescita economica, l’idea che basti abbassare i tassi per ravvivarla, può scontrarsi con la realtà. I tassi a lungo termine non riflettono le decisioni di politica monetaria, bensì fattori come la valutazione del rischio e le aspettative d’inflazione. Paradossalmente, tagliare i tassi senza un diffuso consensus sui mercati può portare a un aumento dei rendimenti lunghi. Cosa che è avvenuta quest’anno, non solo negli Stati Uniti.
Nomina di Hassett non risolverebbe problemi
La nomina di Hassent o chicchessia non risolverà i problemi dell’immenso deficit fiscale americano. I conti pubblici a Washington traballano già in tempi di crescita sostenuta, figuriamoci nell’eventualità di una recessione.
La Cina sta riducendo le esposizioni verso il mercato dei Treasuries e la via dei dazi appena imboccata rende più difficile credere che altre grandi economie aumentino le loro. Offrire rendimenti minori e la prospettiva di un cambio più debole non agevola il collocamento del debito tra gli investitori stranieri. E l’America ne ha bisogno, data la bassa propensione interna al risparmio per effetto proprio di politiche fiscali e monetarie lassiste.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
