La premier raggiunge i mille giorni di governo con consensi in crescita rispetto alle scorse elezioni politiche, una condizione inusuale sia in Italia che nel resto d’Europa di questi tempi. E i timori di un isolamento a Bruxelles sono stati fugati da tempo. Anzi, in questa fase Giorgia Meloni e il PPE sono sempre più in sintonia. Mercoledì, la Commissione europea ha superato il voto di sfiducia presentato da un eurodeputato rumeno appartenente al gruppo ECR di cui fa parte proprio Fratelli d’Italia. Servivano i due terzi dei presenti e la maggioranza assoluta di 361 voti per approvare la censura sul cosiddetto “Pfizergate”. In 360 hanno votato contro e solo 175 a favore.
Il partito della premier è uscito dall’Aula, segnalando apertamente di non condividere la posizione degli alleati senza rompere fragorosamente con loro.
Tedeschi a Roma
E il giorno dopo, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, era a Roma per partecipare alla Conferenza sull’Ucraina. All’evento erano presenti tra gli altri il presidente Volodymyr Zelensky e il cancelliere tedesco Friedrich Merz. Hanno disertato il britannico Keir Starmer e il francese Emmanuel Macron, entrambi a Londra per siglare “l’accordo nucleare”.
Prove di maggioranza alternativa
Merz è esponente di spicco del PPE e il fatto che fosse a Roma da Meloni non fa che confermare le crescenti convergenze tra le due parti. Il giorno prima che l’Europarlamento votasse la censura, veniva respinta la richiesta di discutere con procedura d’urgenza le politiche green per ridurre le emissioni di gas serra. Era stata presentata da socialisti, Verdi e liberali.
Hanno votato contro 379 eurodeputati, cioè il PPE e i partiti sovranisti e conservatori alla sua destra. La famosa “maggioranza Venezuela” si è ripresentata e ha affossato l’ormai ex “maggioranza Ursula“, che è venuta meno anche durante la votazione sulla censura. Tra i socialisti ci sono state numerose defezioni, segno di malcontento crescente a sinistra contro una Commissione considerata sempre più a destra su dossier caldi come geopolitica e politiche industriali.
Il PPE ha bisogno di Meloni e viceversa. Entrambi traggono beneficio dal compattarsi su alcune questioni che li vedono contrari alle istanze della sinistra. Il Green Deal è una di queste. Merz non può smantellare le politiche ambientaliste del suo predecessore tutto ad un tratto, essendo stato costretto dai numeri ad allearsi con i socialdemocratici. D’altra parte, alla nostra premier conviene dare una mano a von der Leyen, come dimostra la facilità con cui l’Italia sta incassando una rata dopo l’altra del Pnrr. E anche sulla lotta all’immigrazione clandestina i toni di Bruxelles sono cambiati. Prima erano tutti una reprimenda contro Roma, ora sono lodi per quello che viene definito un “modello” da imitare.
Meloni verso il PPE?
Questa sintonia contribuisce a calmierare lo spread. Chi avrebbe immaginato che sarebbe sceso a 85 punti a metà legislatura? Il governo lo trovò a 230 punti quando nacque.
Il calo riduce la spesa per interessi e accresce i margini fiscali, agevolando lo stesso risanamento dei conti pubblici. Che Meloni sia pronta a fare ingresso nel PPE, non è affatto scontato e né necessariamente desiderabile per entrambi. La forza negoziale della premier sta anche nel fatto di capeggiare una galassia di partiti, che possono essere utili per rimpiazzare voto per voto la sinistra a Strasburgo e Bruxelles. Merz lo ha capito e dalla diffidenza iniziale è passato alla sintonia. Con buona pace di chi a Parigi immaginava di fare a meno dell’Italia, oggi più che mai cerniera tra l’Europa e gli Stati Uniti di Donald Trump.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

