Ignatius
sfumature di grigio
In un libro che ho finito di lèggere ieri, e del quale non posso fare il titolo per evidenti ragioni di privacy, compàre la follia.
In particolare, il protagonista parla con creature dei boschi che gli insegnano come cacciare i cervi senza farsi vedere, vede persone che non esistono... Tecnicamente, un pazzo.
La follia compare in altre diverse Opere d'Arte.
Mi piacque "Beautiful Mind", per esempio, e non solo per i verdissimi occhi di Jennifer Connelly.
Torniamo però alla carta: tra i libri che preferisco, in "Lo Zen e l'Arte della Manutenzione della Motocicletta" l'autore racconta le scoperte che lui stesso aveva fatto, nel campo della Filosofia, prima di impazzire.
Non ci sono molti dettagli ma, quando si accorse di un limite dei suoi ragionamenti, si lasciò andare. Venne considerato fuori di senno (si orinava addosso) e "curato" con la lobotomia (elettroshock).
In "Lila" di Robert Pirsig ricompàre la pazzia. Non più dell'autore, ma non dirò altro.
Una delle prime cose intelligentissime che mi vien da scrivere parlando di follia è che si tratta di un fenomeno definito dalla società, quindi - per molti aspetti - mutevole.
Ad esempio: forse una donna che, nel medioevo, avesse voluto fare un "lavoro da uomo" sarebbe stata considerata, probabilmente, più che rivoluzionaria, semplicemente pazza. Oggi non più.
Secoli fa, pensare che altri esseri vivessero nello spazio era un'ipotesi folle. Ora non più.
Ma torniamo alle "percezioni": in quel caso, si dirà, la presenza di follia è più chiara. Se io parlo con una persona e, per la collettività, questa persona non esiste, allora sono pazzo.
E se invece fossero gli altri a non riuscire a sentirla?
Ci insegna Robert Pirsig che, per gl'indiani d'america, assumere l'allucinogeno Peyote era un modo per raggiungere il contatto con la realtà. Ovvero: la cosiddetta "realtà", di fatto, era un'allucinazione, e le cosiddette "allucinazioni" erano la realtà.
Questa cosa potrebbe sembrare stramba ma, pensando che la mia realtà in questo momento consiste nel picchiare con le dita su una tastiera guardando uno schermo per mandare messaggi a persone che non conosco e che non so dove siano né chi siano, e sono in una scatola di cemento, acciaio, plastica e vetro, che ho raggiunto spostandomi tramite un'altra scatola ci cemento, acciaio, plastica e vetro che funziona bruciando fossili decomposti milioni di anni fa a migliaia di chilometri da qui... una scatola dove ascoltavo musica scegliendola zappando freneticamente tra 1.300 brani presenti in una scatolina di pochi centimetri/millimeri... beh, questa è una visiona abbastanza allucinante della realtà, o son solo io a pensarla così?
Quindi, la seconda cosa intelligentissima che mi sento di dire è: forse ogni tanto i "sani" farebbero bene a chiedersi se non sono "impazziti", e quanto sia "vera" la loro "realtà" (cfr. Matrix?).
In particolare, il protagonista parla con creature dei boschi che gli insegnano come cacciare i cervi senza farsi vedere, vede persone che non esistono... Tecnicamente, un pazzo.
La follia compare in altre diverse Opere d'Arte.
Mi piacque "Beautiful Mind", per esempio, e non solo per i verdissimi occhi di Jennifer Connelly.
Torniamo però alla carta: tra i libri che preferisco, in "Lo Zen e l'Arte della Manutenzione della Motocicletta" l'autore racconta le scoperte che lui stesso aveva fatto, nel campo della Filosofia, prima di impazzire.
Non ci sono molti dettagli ma, quando si accorse di un limite dei suoi ragionamenti, si lasciò andare. Venne considerato fuori di senno (si orinava addosso) e "curato" con la lobotomia (elettroshock).
In "Lila" di Robert Pirsig ricompàre la pazzia. Non più dell'autore, ma non dirò altro.
Una delle prime cose intelligentissime che mi vien da scrivere parlando di follia è che si tratta di un fenomeno definito dalla società, quindi - per molti aspetti - mutevole.
Ad esempio: forse una donna che, nel medioevo, avesse voluto fare un "lavoro da uomo" sarebbe stata considerata, probabilmente, più che rivoluzionaria, semplicemente pazza. Oggi non più.
Secoli fa, pensare che altri esseri vivessero nello spazio era un'ipotesi folle. Ora non più.
Ma torniamo alle "percezioni": in quel caso, si dirà, la presenza di follia è più chiara. Se io parlo con una persona e, per la collettività, questa persona non esiste, allora sono pazzo.
E se invece fossero gli altri a non riuscire a sentirla?
Ci insegna Robert Pirsig che, per gl'indiani d'america, assumere l'allucinogeno Peyote era un modo per raggiungere il contatto con la realtà. Ovvero: la cosiddetta "realtà", di fatto, era un'allucinazione, e le cosiddette "allucinazioni" erano la realtà.
Questa cosa potrebbe sembrare stramba ma, pensando che la mia realtà in questo momento consiste nel picchiare con le dita su una tastiera guardando uno schermo per mandare messaggi a persone che non conosco e che non so dove siano né chi siano, e sono in una scatola di cemento, acciaio, plastica e vetro, che ho raggiunto spostandomi tramite un'altra scatola ci cemento, acciaio, plastica e vetro che funziona bruciando fossili decomposti milioni di anni fa a migliaia di chilometri da qui... una scatola dove ascoltavo musica scegliendola zappando freneticamente tra 1.300 brani presenti in una scatolina di pochi centimetri/millimeri... beh, questa è una visiona abbastanza allucinante della realtà, o son solo io a pensarla così?
Quindi, la seconda cosa intelligentissima che mi sento di dire è: forse ogni tanto i "sani" farebbero bene a chiedersi se non sono "impazziti", e quanto sia "vera" la loro "realtà" (cfr. Matrix?).
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