La riforma delle pensioni è uscita fuori dalla fase di stallo che da tempo l’accompagnava. L’avvicinarsi della legge di Bilancio infatti non fa altro che accelerare i tempi. Perché nella manovra finanziaria ci sarà un pacchetto pensioni che deve essere per forza di cose varato. Ecco quindi che ormai appare chiaro che la riforma delle pensioni non ci sarà, così come non ci sarà la quota 41 per tutti e nemmeno la pensione flessibile a 62 anni. Nulla di tutto quello di cui si è parlato in questi mesi, perché i conti pubblici non lo consentono.

Le priorità del governo sono altre e vanno dalle bollette al taglio del cuneo fiscale, dal reddito di inclusione alla riforma fiscale.

Pacchetto pensioni della legge di Bilancio, ecco le cifre e cosa si potrà fare

Per le pensioni pare che dei 40 miliardi con cui verrà finanziata la manovra, solo 4 riguarderanno questa materia. E molti se ne andranno per la rivalutazione degli assegni, tra differenze da erogare sul tasso di inflazione 2023 (concesso poco più del 7% ma tasso effettivo ben oltre l’8%) e nuova indicizzazione. E allora per le nuove misure di pensionamento resterà relativamente poco. Talmente poco da permettere solo l’estensione di quota 103 di un altro anno. E la conferma dell’Ape sociale e il rinnovo di Opzione donna, modificata ma non del tutto.

Allo studio del governo però emergono nuovi indizi che portano a nuove sperimentazioni. Oggi vediamo di rispondere a tutti quei quesiti dei nostri lettori che ci chiedono numi su eventuali nuove misure che il governo sarebbe in procinto di studiare più che varare.

Le pensioni, nel 2024

Ricapitolando, nel 2024 quasi certamente ci sarà la quota 103 con la pensione a partire dai 62 anni di età con 41 anni di contributi. La misura in scadenza il 31 dicembre prossimo verrà prorogata di un anno, e scadrà il 31 dicembre 2024.

Resterà immutata la struttura, con il divieto di lavorare per chi prende questa pensione. Cumulo con redditi da lavoro ammesso solo per lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro annui. E sempre così sarà il limite a 5 volte il trattamento minimo come importo della pensione. Opzione donna invece verrà prorogata. Ma forse non si riuscirà a ritornare alla versione originaria con 58 anni di età minima per l’uscita alle dipendenti e 59 anni alle autonome.

Nuova Opzione donna, ma le limitazioni resteranno anche se non tutte

Si riuscirà forse solo a eliminare il vincolo dei figli avuti che rimandava a 60 anni l’uscita per alcune lavoratrici senza figli o a 59 anni con un solo figlio.

Resterà quindi il vincolo 2023 che prevede la misura appannaggio solo di disoccupate, invalide, caregivers o dipendenti di aziende con tavoli di crisi avviati. E serviranno sempre 35 anni di contribuzione, con età e contributi da completare entro il 31 dicembre dell’anno precedente. L’Ape sociale invece resterà come oggi, con le uscite previste a 63 anni per lavori gravosi, disoccupati, invalidi e caregivers. Serviranno sempre 30, 32 o 36 anni di versamenti contributivi in base alle categorie di appartenenza.

La nuova via guarda a Svezia e Norvegia, ma in Italia si può anticipare la quiescenza con il part time?

Una idea tutta nuova, come si legge sulle pagine del Corriere della Sera. Infatti il governo starebbe pensando di correggere il sistema copiando qualcosa da altri Paesi industrializzati, nello specifico Svezia e Norvegia, cioè i Paesi Scandinavi, dove si dice che ci sia il tenore di vita migliore. L’idea che sembrerebbe allo studio è la pensione part time. In pratica una soluzione che guarda al lavoro e alle pensioni insieme. In parole povere in questi Paesi si adotta la soluzione di tagliare le ore di lavoro ai lavoratori più anziani in modo tale che le aziende possono assumere nuovi addetti più giovani.

Riforma delle pensioni, ecco comparire la pensione part time, ma di cosa si tratta?

Per i dipendenti anziani ci sarebbe la progressiva riduzione dell’orario di lavoro per gli ultimi anni di carriera con stipendio ridotto ma con una pensione in più percepita. E con contributi versati come se ad orario pieno per questi anni di anticipo, in modo tale da consentire la pensione piena una volta arrivati all’età pensionabile. In Svezia per esempio agli statali è consentito ridurre l’orario di lavoro di massimo il 50% (o anche di meno in base alle sue esigenze, quindi con piena flessibilità), chiedendo a partire dai 61 anni di età la pensione part time, ovvero una pensione pari al 50% di quella maturata o giù di lì. E godrebbe di una riduzione di lavoro e di una pensione part time fino ai 65 anni quando arriva l’età per la pensione effettiva.

Pensione parziale anche in Italia? Un’ipotesi da non sottovalutare

Resta una idea, che deve trovare riscontro nella realtà dei fatti, ma stando a ciò che si legge sul già citato quotidiano, in Italia si penserebbe ad una pensione a partire dai 64/65 anni, con il lavoratore che resterebbe in servizio a orario ridotto. Prendendo dall’INPS una pensione commisurata all’orario di lavoro part time svolto e godendo della contribuzione piena al fine di non rimetterci nulla sulla pensione futura a 67 anni. L’interessato oltre che lavorare per la metà del tempo che lavora oggi, riceverebbe per la parte mancante di stipendio, una vera pensione.

Naturalmente parliamo di una semplice ipotesi e a scanso di equivoci, inutile immaginare novità immediate per il 2024. Resta però una pista alternativa da poter sfruttare per l’esecutivo, chiamato a una difficile riforma del sistema come detto prima.