Andare in pensione con Quota 103 è una opportunità riservata a tutti i lavoratori pubblici e privati solo per quest’anno. Nel senso che soltanto chi ha 62 anni di età e 41 di contributi matura il diritto a lasciare in anticipo il lavoro per godersi la rendita. Diritto che può essere esercitato anche nei prossimi anni, basta che lo si acquisisca entro il 31 dicembre 2023.

Benché Quota 103 rappresenti una opportunità di uscita dal lavoro a 62 anni, non tutti i lavoratori hanno interesse a esercitare tale diritto.

La legge prevede alcuni paletti che rendono l’occasione meno ghiotta di quanto sembra. A cominciare dal vincolo dell’importo massimo della pensione, per finire col divieto di cumulo con altri redditi da lavoro. Paletti che non sempre sono facilmente superabili.

Quota 103: cosa si perde e cosa si guadagna ad andare in pensione presto

Come detto, le restrizioni principali previste dalla pensione anticipata con Quota 103 sono l’importo massimo di pensione e il divieto di cumulo con altri redditi da lavoro. Nel primo caso, la normativa prevede che la pensione non possa superare 5 volte il valore del trattamento minimo, cioè 2.840 euro circa. Tale limite resta valido fino alla maturazione dei requisiti di vecchiaia, poi decade.

Ma, ammesso che un lavoratore non debba fare conto di tale soglia, resta il divieto di cumulare la pensione coi redditi da lavoro. Fatto salvo quanto possa derivare da lavoretti occasionali autonomi nella misura di massimo 5.000 euro lordi annui. Il superamento di tale soglia implica la sospensione della pensione.

Per gli statali c’è poi il problema del Tft. Il trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici è liquidato dall’Inps solo dopo che sono maturati i requisiti per la pensione di vecchiaia. A 67 anni di età o anticipata con 41-42 anni e 10 mesi di contributi. Per i privati no.

A chi conviene veramente, i nati nel 1961

Ma chi, secondo l’età anagrafica, ha convenienza ad andare in pensione con Quota 103? In base alle simulazione degli esperti, non tutte le classi di età hanno interesse ad anticipare l’uscita dal lavoro rispetto al pensionamento di vecchiaia a 67 anni.

O anche solo rispetto all’uscita anticipata con 42 anni e 10 mesi (41 e 10 mesi per le donne) di contributi indipendentemente dall’età.

Sostanzialmente, solo i nati nel 1961 e con 41 anni di contributi ne traggono vantaggio. Chi è nato dopo non ne ha diritto, mentre chi è nato prima avrà quest’anno più di 62 anni e forse farebbe bene a guardare ad altre vie di uscita più convenienti sotto il profilo economico.

La cosa che infatti bisogna sempre tener presente per valutare la convenienza ad andare in pensione, in linea di massima, è che più è alta l’età, maggiore sarà l’importo della rendita. In base ai coefficienti di trasformazione, quindi, andare in pensione a 62, benché con 41 anni di contributi alle spalle, equivale a una perdita potenziale di almeno il 17,1% di rendita rispetto alla pensione di vecchiaia a 67 anni di età con gli stessi contributi.

Quota 103 per autonomi e dipendenti

Fra i lavoratori vi è però da fare anche un altro distinguo fra dipendenti e autonomi. Posto che il calcolo della pensione sia uguale per tutti, chi ha più interesse a lasciare il lavoro a 62 anni di età? Un commerciante o un artigiano, ad esempio, dovrebbe cessare l’attività e se questa è fiorente poco gli conviene abbandonarla per andare in pensione.

Un lavoratore dipendente, viceversa, ha più interesse ad andare in pensione dopo 41 anni di lavoro, anche se a 62 anni ha ancora una età per poter lavorare serenamente e con profitto. In questo caso, il divieto di cumulo con altri redditi da lavoro non si pone cessando il rapporto di lavoro o servizio.

Di fatto, stando alle prime stime, sarebbero più i lavoratori dipendenti a chiedere la pensione anticipata a 62 anni rispetto a quelli autonomi. Così come accaduto per Quota 100 e, in misura minore, per Quota 102. Ragion per cui, per farli desistere dalla decisione, il Governo ha ripristinato l’incentivo Maroni.