I lavoratori impatriati non possono ricorrere alla c.d remissione in bonis per sanare gli omessi o i carenti versamenti richiesti dalla legge per prorogare la tassazione agevolata per un ulteriore quinquennio.

Si è espressa in tal senso l’Agenzia delle entrate con la risposta n°223 di ieri. La problematica dei versamenti carenti od omesso riguarda nello specifico gli iscritti all’AIRE e i cittadini di Stati membri dell’Unione europea che: avevano trasferito la residenza prima dell’anno 2020 e alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime agevolato ordinario previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n.

147.

Il passaggio cruciale sta nel fatto che, per tali soggetti impatriati,  l’opzione per la proroga del regime agevolato per ulteriori cinque anni (5+5), richiede il versamento di un importo pari al 10, ovvero al 5 per cento, dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo agevolabili prodotti in Italia, relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione.

Posto l’obbligo di versamento, quali sono le conseguenze in caso di carenti od omessi versamenti? E’ possibile regolarizzare i versamenti grazie alla c.d. remissione in bonis?

Partendo proprio dalla remissione in bonis, vediamo quali sono le indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate.

La remissione in bonis. Cos’è?

L’art.2 comma 1 del DL 16/2012, permette al contribuente di salvare i benefici fiscali rispetto ai quali non ha effettuato gli adempimenti richiesti dalla legge; si pensi ad esempio alla comunicazione da inviare all’Enea per i lavori di risparmio energetico oppure ancora alla comunicazione da inviare all’Agenzia delle entrate per informarla dell’esercizio delle opzioni di sconto in fattura e cessione del credito.

Nello specifico, grazie all’art.2 citato:

La fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione ovvero ad adempimento di natura formale tempestivamente eseguiti, non è preclusa, sempre che la violazione non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza, laddove il contribuente abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento;
b) effettui la comunicazione ovvero esegua l’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile;  versi contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dall’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.

471, secondo le modalità stabilite dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997. n. 241, e successive modificazioni, esclusa la compensazione ivi prevista».

Dunque, dimenticato di effettuare un adempimento di tipo formale, il contribuente può rimediare, effettuando l’adempimento nel suddetto termine e pagando cash la sanzione pari a 250 euro.

La risposta n°223 del 22 febbraio. Niente remissione in bonis per gli impatriati

Fatta tale doverosa ricostruzione, con la risposta n°223 di ieri, un contribuente, lavoratore impatriato,  ha chiesto se la remissione in bonis possa essere sfruttabile anche ai fini della proroga del regime fiscale agevolato (art. 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147)Ebbene, la risposta dell’Agenzia delle entrate è stata negativa. Infatti, il versamento richiesto ai lavoratori impatriati individuati in apertura del nostro articolo,  è un adempimento sostanziale e non formale.

Da qui, l’omesso versamento delle somme dovute entro il termine del 30 giugno (nel caso specifico 30 giugno 2022), non può essere regolarizzato tramite remissione in bonis né tramite ravvedimento operoso. In sostanza il contribuente sarà “tassato” in base al regime ordinario.