Se non cambiano le regole, i buoni pasto, detti anche ticket restaurant, potrebbero presto diventare un ricordo per i dipendenti. I buoni pasto, erogati dai datori di lavoro in convenzione con le società di ristorazione, garantiscono quotidianamente il pranzo o la cena a milioni di lavoratori, ma non sempre sono un vantaggio per chi è tenuto ad accettarli.

Se da un lato, i ticket restaurant godono di uno speciale regime fiscale per cui non sono soggetti a tassazione per il lavoratore dipendente, dall’altro lato, cioè per chi li riceve, l’incasso non è mai quello espresso dal valore del buono pasto.

Così capita che molti ristoratori, bar o supermercati tendano oggi a storcere il naso nei confronti di chi paga con i ticket restaurant.

Un terzo del valore del ticket se ne va in fumo

Benchè, come detto, per incentivare l’utilizzo dei buoni pasto lo Stato applichi regimi fiscali vantaggiosi per i lavoratori, è diventato oneroso per gli esercenti accettare e gestire i titoli di credito così incassati. Fra commissioni, costi di gestione e tempi di incasso, un ristoratore ci rimette in termini economici fino al 30% del valore del ticket. Ciò, oltretutto, va a costituire reddito imponibile per il valore pieno del buono pasto sul quale devono essere poi pagate le tasse. Quindi, tasse su tasse. Per non parlare poi dei tempi di incasso che tendono ad arrivare a 30-40 giorni e in alcuni casi anche a 60 (dipende dalle società di gestione dei ticket). Sicché i piccoli esercenti tendono a non rinnovare più le convenzioni con le società dei ticket restaurants o a rifiutarsi di accettarli.

Costi di gestione troppo alti

In molti casi, bar e ristoranti propongono degli sconti alla clientela se non pagano con buoni pasto. In altri aumentano i prezzi per scoraggiarne l’utilizzo. Del resto il piccolo ristoratore o barista che deve fare ogni giorno i conti con i costi di gestione del locale e pagare puntualmente la miriade di tasse che grava sull’attività commerciale, non può attendere i tempi di incasso dei ticket restaurant da parte delle società e vedersi oltretutto decurtato l’importo spettante.

Cosa ben diversa per le grandi catene di ristorazione o per i supermercati che, dato il volume di affari, non hanno problemi a subire ritardi o decurtazioni.

Ristoratori pronti allo stop

Il sistema dei buoni pasto è quindi al collasso e “se non ci sarà un’inversione di rotta immediata, quasi tre milioni di dipendenti pubblici e privati potrebbero vedersi negata la possibilità di pagare il pranzo o la spesa con i ticket“. Il grido d’allarme parte dalle associazioni dei consumatori e dei commercianti, pronti a dare battaglia e a rifiutarsi di rinnovare le convenzioni. “Siamo arrivati ad un punto limite di sopportazione” – proseguono – “e siamo pronti a smettere di prendere i buoni pasto” senza una riforma. Il rischio è che molte altre società di gestione facciano la fine di Qui!Group, azienda leader dei buoni pasto alla pubblica amministrazione , fallita nel 2018 con 325 milioni di euro di debiti, di cui circa 200 milioni nei confronti degli esercizi convenzionati.

Buoni pasto: in Italia valgono 3,2 miliardi di euro all’anno

Nonostante i problemi, i buoni pasto muovo un’economia gigantesca ogni anno. Nel 2019, secondo i dati raccolti dalla Consip, sono stati fatturati pasti per 3,2 miliardi all’anno attraverso i ticket restaurant. “Ogni giorno circa 10 milioni di lavoratori pranzano fuori casa. Di questi, 2,8 milioni sono dotati di buoni pasto e il 64,7% li utilizza come prima forma di pagamento ogni volta che esce dall’ufficio. Complessivamente si stima che nel 2019 siano stati emessi in Italia 500 milioni di buoni pasto, di cui 175 milioni acquistati dalle pubbliche amministrazioni, che li hanno messi a disposizione di 1 milione di lavoratori. In totale, ogni giorno i dipendenti pubblici e privati spendono nei bar, nei ristoranti, nei supermercati i e in tutti gli esercizi convenzionati 13 milioni di euro in buoni pasto“.