Per quanto la decisione fosse stata scontata dai mercati, ha fatto ugualmente rumore. Ieri, la Federal Reserve (FED) ha annunciato di avere tagliato i tassi di interesse dello 0,25%. Scenderanno al nuovo range del 4-4,25%. E’ stato il primo abbassamento del costo del denaro dopo nove mesi. L’ultimo risaliva al dicembre scorso. Ed è avvenuto ad un anno di distanza dal primo dei tre tagli precedenti, che fu dello 0,50% e in piena campagna elettorale per le presidenziali negli Stati Uniti.
Sul taglio dei tassi FED unanimità sostanziale
Il comunicato ha riportato che la decisione è stata presa con 11 voti a favore e soltanto 1 contrario.
Trattasi del “trumpiano” Stephen Miran, nominato dal presidente da poche settimane e che è stato suo consigliere per gli affari economici. L’uomo avrebbe voluto un taglio più deciso dello 0,50%. Il mercato aveva previsto un voto meno unanime. Interessante, poi, che i “dot-plots” abbiano svelato altri due possibili tagli della stessa entità ai tassi FED entro l’anno.
I “dot-plots” sono una stranezza tutta americana. In pratica, gli stessi governatori facenti parte del board dell’istituto compilano in forma anonima un questionario sulle previsioni personali riguardo ai tassi FED nei mesi e anni seguenti. E’ un modo per cercare di orientare le aspettative del mercato, visto che il sondaggio viene realizzato tra coloro che saranno chiamati effettivamente a decidere sulle mosse di politica monetaria. Tuttavia, le decisioni si assumono dopo un confronto tra i componenti del FOMC e alla luce dei dati macroeconomici sopravvenuti. Dunque, prendiamo questi dati con prudenza.
Powell alle prese con dati macro contrastanti
L’istituto guidato da Jerome Powell ha dovuto prendere atto del rallentamento nella creazione di nuovi posti di lavoro, mentre l’inflazione resta “elevata” e sopra il target del 2%.
In agosto, è salita al 2,9%, il dato più alto dal gennaio scorso. Il dato “core” è stato del 3,1%. Proprio questo conflitto tra i due obiettivi genera incertezza. Il doppio mandato legalmente obbliga la FED a perseguire da un lato la stabilità dei prezzi, dall’altro la piena occupazione. E al momento l’economia resta grosso modo solida, ma i prezzi al consumo accelerano al rialzo.
La reazione al taglio dei tassi FED è stata variegata sui mercati. Le quotazioni spot dell’oro sono esplose fino a un massimo di 3.707 dollari l’oncia, salvo scendere mentre scriviamo a meno di 3.640 dollari. I rendimenti americani sono scesi lungo la curva. Il Treasury a 10 anni è arrivato ad offrire meno del 4%, quello a 30 anni meno del 4,65%. In entrambi i casi c’è stata una risalita nelle ore successive. In calo il rendimento del BTp a 10 anni al 3,48% alla riapertura di questa mattina, appena sopra il livello francese al 3,475%. Lo spread con i Bund si attesta al momento a 81 punti base.
Euro ai massimi dal 2021
Per il momento la decisione della FED di tagliare i tassi è stata giudicata comprensibile dai mercati. L’inflazione americana è sopra il target, ma il costo del denaro resta ancora superiore.
I prossimi passi saranno scrutati con maggiore attenzione, al fine di capire se Powell si stia muovendo su basi solide o solo per compiacere la Casa Bianca. Sappiamo che è da mesi oggetto di forti pressioni e persino insulti da parte del presidente Donald Trump, il quale reclama un immediato e corposo taglio.
Ieri, il cambio euro-dollaro ha superato 1,19, portandosi ai massimi dal 2021. Nella mattinata odierna, è sceso sotto 1,18. Il taglio dei tassi FED tende a indebolire il biglietto verde, quando già questi ha perso in media l’11% contro le principali valute straniere. Combinato con i dazi, ciò può portare a una risalita veloce dell’inflazione nei prossimi mesi, man mano che le imprese importatrici scaricheranno sui prezzi l’aumento dei costi. D’altra parte sembra improbabile che Powell abbia tagliato in maniera del tutto episodica. Ne vale della credibilità di Atlanta.
Tassi FED sopra l’inflazione?
La sensazione è che la FED punti a preservare almeno tassi reali positivi, per cui li taglierebbe fino a quando l’inflazione non si avvicinasse ai loro livelli nominali. Può essere un punto d’incontro con Trump, che pretenderebbe quasi il loro azzeramento. Il suo braccio destro Miran crede che dovrebbero contrarsi di un altro 1,25% entro dicembre. Se così fosse, si porterebbero al 3% da qui a tre mesi. Uno scenario tutt’altro che probabile, persino in tempi incerti come questi.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
