Ci sarà l’agognata novità sui ticket per i lavoratori con la legge di Bilancio 2026? Lo scopriremo molto presto e fino all’approvazione di fine dicembre da parte del Parlamento è sempre possibile inserire nuove misure. Sono 3,5 milioni i dipendenti in attesa di capire cosa accadrà ai buoni pasto, la cui esenzione potrebbe salire da 8 a 10 euro e su cui faremmo bene ad accendere i riflettori anche sull’anacronistico divieto di cumulo. Ci torneremo.
Aumento di stipendio di fatto
Iniziamo con la probabile novità legislativa: il governo intende alzare la soglia di esenzione fiscale da 8 a 10 euro per ciascuno dei buoni pasto erogati ai lavoratori.
Il beneficio massimo si attesterebbe sui 440 euro all’anno, stimando 220 giorni lavorativi. Attenzione: si tratta di una probabilità, non di automatismo. La legge, se passasse, consentirebbe al datore di lavoro di escludere dal pagamento delle imposte e dei contributi i buoni pasto (dematerializzati) fino a 10 euro al giorno dagli 8 euro di oggi (4 euro per i ticket cartacei).
La riforma agevolerebbe i nuovi accordi tra le parti per innalzare il valore dei ticket corrisposti ai dipendenti. Sui 440 euro in più all’anno pagati dall’impresa, non ci sarebbe alcun aggravio fiscale. Di fatto, un aumento dello stipendio sotto mentite spoglie. E sappiamo quanto ne abbiano bisogno i lavoratori italiani, i cui stipendi sono bassi nel confronto internazionale e fermi da troppi anni. Una misura quasi a costo zero per lo stato, visto che per i 700.000 dipendenti pubblici beneficiari lo stato spenderebbe fino a un massimo di 75-90 milioni in più all’anno. In cambio l’aumento dei consumi porterebbe a un maggiore gettito IVA stimato intorno al doppio.
Stimolare la concorrenza tra esercenti convenzionati
L’esenzione è cosa buona e giusta, così come lo sarebbe eliminare l’anacronistico tetto al cumulo dei buoni pasto. I lavoratori possono usarli fino a un massimo di otto per volta, anche per fare la spesa presso gli esercizi convenzionati. Una limitazione che ha poco senso. Costringe i titolari a recarsi al supermercato più volte per usare i ticket non fruiti durante la pausa pranzo. Essa risente della mentalità paternalistica che lo stato italiano ha nei confronti dei cittadini. I soldi sono dei lavoratori, che possono farci ciò che vogliono. Molti risparmiano i ticket e portano un panino da casa o tornano a casa a mangiare, così da utilizzarli per fare la spesa.
Cosa c’è di male in questo atteggiamento? Nessuno. I lavoratori italiani sbarcano il lunario e lo stato mette loro i bastoni tra le ruote. L’abolizione del tetto al cumulo dei buoni pasto può servire ad aumentare la concorrenza dei supermercati verso bar e ristoranti. C’è il rischio che questi ultimi approfittino dell’eventuale innalzamento dell’esenzione. Come? Aumentando i prezzi praticati ai clienti. Ipotesi non da scartare, anche se da settembre beneficiano del tetto al 5% imposto per legge alle commissioni loro applicate dalle società di emissione.
Cumulo buoni pasto, via al tetto
Con la rimozione di qualsivoglia tetto al cumulo dei buoni pasto, gli esercizi convenzionati sarebbero consapevoli che i rincari finirebbero per incentivare i lavoratori all’alternativa della spesa al supermercato. L’aumento della soglia di esenzione, poi, non sarebbe che un recupero parziale del potere di acquisto perduto negli ultimi anni. Nel quinquennio al 30 settembre scorso i prezzi dei generi alimentari risultano saliti in Italia del 28,7%. L’esenzione innalzerebbe il valore dei buoni non soggetto al fisco del 25%.
giuseppe.timpone@investireoggi.it