Secondo i dati di Ecoanalitica, istituto economico indipendente, i pagamenti in dollari nel Venezuela sono scesi ai minimi dalla fine del 2019. E questi numeri saranno probabilmente scesi ancora nel mese di aprile, il primo intero in cui è stata in vigore la tassa del 3% sui pagamenti in valuta straniera. Per milioni di venezuelani è stato uno choc. Molti non volevano neppure crederci, tanto che diversi negozi hanno affisso cartelli con l’ordine del governo per fare capire ai clienti che la tassa esiste davvero.

Il regime “chavista” di Nicolas Maduro intende così rivitalizzare il bolivar, la valuta locale. Questo ha perso praticamente il 100% del suo valore negli ultimi anni. Pensate che dal 2008 alle banconote sono stati eliminati 14 zeri.

La caduta del bolivar con l’iperinflazione

Attualmente, un dollaro scambia contro i bolivares a un tasso di 4,62. Negli ultimi sei mesi, la valuta locale si è deprezzata del 7%. Nulla, se si considera per l’appunto che di anno in anno il valore del bolivar si è azzerato con l’iperinflazione. Eppure, adesso i prezzi al consumo stanno crescendo sotto la doppia cifra. Su base annua, l’inflazione sarebbe ormai “solo” a due cifre. Un paradosso per un paese devastato sin dal 2017 dall’esplosione dei prezzi e che proprio mentre il resto del mondo lamenta forti rincari, inizia a vedere la luce in fondo al tunnel.

Il Venezuela sta giovandosi del boom dei prezzi del petrolio. Pur esportandone con il contagocce, le maggiori entrate stanno sostenendo il cambio da un lato e le importazioni dall’altro. La carenza diffusa di beni esiste ancora, ma non ai livelli degli anni passati. Resta il fatto che i tre quarti dei venezuelani risulterebbero denutriti. Ad avere stabilizzato la situazione è stata la politica economica più ortodossa seguita dal regime negli ultimi tre anni. La dollarizzazione dell’economia era stata prima combattuta aspramente, successivamente abbracciata informalmente.

Adesso, la tassa sul dollaro rischia di rovinare parte dei progressi compiuti. Le associazioni imprenditoriali spiegano che la stangata colpirebbe particolarmente le produzioni locali, perché essa grava su ogni passaggio lungo la filiera e finirebbe per gravare sul consumatore per una misura nettamente superiore al 3% imposto dal governo. Peraltro, molti commercianti non hanno ancora capito bene come riscuoterla, tant’è che in aprile circa la metà non avevano riscosso l’imposta.

Il petrolio del Venezuela ora fa gola

In meno di un decennio, si stima che sei milioni di persone siano fuggite dal Venezuela per scampare alla fame, oltre alla repressione del regime. Le sanzioni americane del 2018 hanno nei fatti tagliato fuori il paese andino dai mercati internazionali, impedendogli di vendere petrolio. Tuttavia, con la necessità di questi mesi di rimpiazzare la Russia e contenere così le quotazioni del greggio, gli USA stanno ipotizzando di allentare l’embargo contro Caracas. In media, nei primi tre mesi dell’anno le estrazioni giornaliere si sono attestate a 750.000 barili. Erano sopra i 3 milioni a fine anni Novanta e poco sotto tale soglia ancora nel 2014.

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