Amazon, colosso delle vendite online nel mondo, ha annunciato che intende costruire una seconda sede in America, oltre a quella di Seattle. Subito si è scatenata una gara tra i sindaci di città come Chicago, Memphis e Pittsburgh per assicurarsi di ospitare il prossimo quartier generale della società. In ballo ci sono investimenti per almeno 5 miliardi di dollari e la creazione di 50.000 posti di lavoro. Naturale che i primi cittadini delle principali aree urbane USA stiano accarezzando l’ipotesi, con messaggi sui social che strizzano l’occhio ai dirigenti del gigante della tecnologia.

Eppure, l’esperienza della Silicon Valley ci dimostrerebbe che non è tutto rose e fiori vivere in un’area, in cui hanno sede decine di grandi multinazionali. Tra gli abitanti del distretto meridionale della California c’è forte risentimento, cosa che appare paradossale, considerando che tutto il mondo nutra profonda invidia per questo pezzo di America così industrializzato, che attira le menti più brillanti del pianeta. Quale sarebbe la ragione di questo atteggiamento finanche sprezzante? (Leggi anche: Google licenzia ingegnere sessista, ma accesi fari giustizia USA su Silicon Valley)

Prezzi case e affitti alle stelle

All’inizio del mese, nel Sunnyvale, esattamente a Prunelle Court, una casa con giardino di circa 180 metri quadrati è stata venduta per 2,47 milioni di dollari, ben 782.000 in più di quanto fosse stato richiesto dall’agenzia. Ad acquistarla è stato un dipendente nel settore tecnologico. Si tratta dell’acquisto a prezzi maggiori rispetto a quelli richiesti nell’area, ma l’offerta è stata necessaria per evitare che qualcun altro spillasse l’affare da sotto il naso. E così, l’immobile residenziale è stato venduto alla bellezza di circa 13.500 dollari al metro quadrato, un prezzo assurdo persino per i canoni elevati della California. Perché vale così tanto? Esso si trova a 6 km dal nuovo campus aerospaziale di Apple.

Ormai, le agenzie nella zona lanciano per gli immobili prezzi iniziali più bassi del loro potenziale di mercato, in modo da attirare numerosi lavoratori alle dipendenze dei colossi tech della Silicon Valley e spingerli a farsi concorrenza tra di loro, offrendo la cifra più alta.

L’acquisto non è stato illogico, perché se il neo-proprietario avesse tentennato, avrebbe rischiato di ritrovarsi senza un tetto, fenomeno sempre più frequente qui.

La California è diventata attualmente uno degli stati americani con il più basso tasso di case di proprietà, poco superiore al 50%, ai minimi dalla Seconda Guerra Mondiale. E se i prezzi delle case sono stati solitamente più alti della media nazionale, le distanze con il resto degli USA si sono allargate ancora di più negli ultimi anni. Adesso, una casa-tipo costa 437.000 dollari, 2,5 volte la media nazionale. E mediamente l’affitto mensile pesa per 2.400 dollari, ma con punte di 4.000 dollari per un appartamento con due camere da letto a San Francisco. E così, il 70% degli abitanti più a basso reddito è costretto a stanziare per l’affitto la maggioranza dello stipendio percepito. Nella Silicon Valley, il canone risulta schizzato al 227% della media nazionale. E le statistiche appaiono impietose anche per il caso di Seattle, dove il canone di locazione mensile medio è passato dai poco più di 900 dollari del 2011 ai quasi 2.000 dollari di quest’anno. Guarda caso, nello stesso arco di tempo, i dipendenti Amazon sono saliti da 10.000 a quasi 40.000. (Leggi anche: Offerte lavoro Silicon Valley)

Case costose e abitanti in fuga

La situazione starebbe solo peggiorando. Dal 2010, la popolazione in California è cresciuta del 6%, ovvero di oltre 2 milioni di abitanti, mentre l’offerta di case disponibile è aumentata di appena il 3%. Costruire nuove case proprio in questo stato, dove ne servirebbero almeno 180.000 in più ogni anno, è diventato più costoso, dato che con lo scoppio della crisi immobiliare nel 2007-2008, l’industria nazionale ha perso il 13% della manodopera, ma circa un quarto in California.

E con il ritorno alla crescita, queste braccia non sono più tornate, con la conseguenza che la carenza di lavoratori ha spinto i salari e rende più caro fabbricare immobili.

La Silicon Valley non è l’unica area americana, in cui gli abitanti mostrano crescenti segni di insofferenza. Dal 2010, ben un milione di residenti ha lasciato New York, essendo diventato molto più difficile vivervi per via dei prezzi proibitivi delle case e degli affitti. Ora, che il lavoro si trova un po’ in tutta l’America, molti ex abitanti della Grande Mela preferiscono spostarsi in città più piccole e meno costose. E proprio la Baia di San Francisco è risultata essere da un recente sondaggio quella in cui i cittadini più giovani opterebbero per andare via. Un apparente paradosso per un’area ambita dai cervelli di ogni angolo del pianeta. (Leggi anche: Fuga da New York, addio alla Grande Mela da un milione di americani)

Monta il malcontento tra gli abitanti della Silicon Valley

Che il malcontento sia alto nelle zone in cui si concentrano le sedi dei colossi industriali lo segnalerebbero anche i risultati delle elezioni comunali a Seattle nel 2014, dove è stato eletto per la prima volta da diversi decenni un esponente “socialista”, un aggettivo che in America equivale quasi a un insulto. Ma le stesse multinazionali iniziano a mostrarsi nervose per le inefficienze riscontrate sul piano delle politiche urbanistiche. Molti loro manager sostengono che il costo della vita proibitivo starebbe rendendo più difficile trattenere in azienda i dipendenti.

E una ricerca McKinsey ha trovato che i costi derivanti dalla carenza di case in California ammonterebbero a 143-233 miliardi all’anno, grossa parte a causa delle minori spese che le famiglie possono permettersi per l’acquisto di altri beni e servizi, comprese quelle sanitarie. In altre parole, da un lato la Silicon Valley crea tanta ricchezza, dall’altro questa viene assorbita dal comparto immobiliare, in forma di mutui o affitti, con la conseguenza che i consumi rimanenti ne vengono colpiti.

E poiché i figli dei ciabattini sono spesso scalzi, a fronte di un elevato stanziamento di fondi da parte dei colossi societari per opere di beneficenza (+150% tra il 2008 e il 2013), si stima che il 93% di tali somme tra il 2006 e il 2013 sia andato a finanziare finalità che non riguardavano il territorio. In sostanza, chi ha bisogno in queste aree non riceve quasi nulla da chi potrebbe aiutarli, pur in presenza di stanziamenti miliardari. E’ così che questa settimana, all’annuncio della ricerca di una seconda sede, l’Huffington Post ha potuto scrivere “Lasciamo che Amazon faccia schizzare altrove gli affitti”. (Leggi anche: Bolla immobiliare nuova minaccia globale)