La Federal Reserve ha alzato come da previsioni ieri sera i tassi USA al nuovo range dell’1-1,25% per la seconda volta quest’anno e la quarta dall’avvio della stretta monetaria nel dicembre 2015. I funzionari dell’istituto si aspettano adesso un nuovo aumento entro l’anno e tre nel 2018. Nessuna apparente novità, quindi, rispetto alla tabella di marcia segnalata nei mesi scorsi. Il governatore Janet Yellen si è mostrata abbastanza fiduciosa sulla capacità di centrare il target d’inflazione del 2%, nonostante a maggio l’indice dei prezzi monitorato in via preferenziale abbia mostrato una decelerazione dal +1,9% al +1,7% annuo, da attribuire, sempre secondo la Fed, a fattori di natura temporanea, come il calo dei prezzi dei telefonini e dei farmaci su prescrizione medica.

D’altra parte, con un tasso di disoccupazione sceso al 4,3%, sotto il tasso ritenuto compatibile con uno stato di pieno occupazione del mercato del lavoro americano, vi sarebbero diverse ragioni per ipotizzare che le pressioni sui prezzi non verranno meno.

La Fed ha anche comunicato la decisione di volere tagliare gradualmente il proprio bilancio da 4.200 miliardi di dollari (era di 900 miliardi alla fine del 2008). Senza indicare una tempistica precisa, ha spiegato che esso verrà ridotto di 10 miliardi al mese, di cui 6 riguardanti i Treasuries e 4 i bond coperti da ipoteca immobiliare (“Mbs”), ma con progressione di 6 miliardi ogni 3 mesi per i primi e di 4 miliardi per i secondi, fino ad arrivare a un massimo di 30 miliardi e 20 miliardi rispettivamente. Insomma, a regime vi sarebbe un dimagrimento del bilancio di 50 miliardi al mese. (Leggi anche: Riunione Fed, tassi USA e questione bond in portafoglio)

Probabile pausa Fed

Quanto ai tempi di un prossimo rialzo dei tassi USA, nessuna indicazione nemmeno in questo caso, ma è probabile che la Fed voglia prendersi una pausa per tutto il periodo estivo, puntando a una nuova stretta a fine anno, potenzialmente a dicembre, ultimo mese disponibile per il 2017, in attesa di verificare in quale direzione vada la BCE e cosa accadrà anche nel Regno Unito.

Dunque, ci attenderebbero almeno 4-5 mesi di non eventi negli USA, per cui la palla passa adesso tutta nel campo di Francoforte, dove saranno le eventuali novità in arrivo dalla BCE a smuovere i mercati nell’una o nell’altra direzione. Il governatore Mario Draghi si è mostrato abbastanza accomodante all’ultimo board, nonostante dal comunicato ufficiale sia stato rimosso il riferimento a tassi più bassi di quelli attuali per il prossimo futuro. (Leggi anche: Draghi si muove con cautela sugli stimoli, ma resta caso inflazione)

Effetto Draghi su cambio euro-dollaro

Draghi non smania per avviare la stretta, ma è un dato di fatto che l’inflazione nell’Eurozona stia risalendo, per quanto rimanga debole e sotto il target. Vero è anche, poi, che il recente calo dei prezzi energetici non deporrebbe in favore di un surriscaldamento delle aspettative d’inflazione, per cui l’andamento dei dati macro nei mesi estivi verrà monitorato con molta attenzione dall’istituto, prima di procedere a un qualsivoglia annuncio sulla variazione della politica monetaria.

Detto ciò, i mercati hanno scontato ormai del tutto le prossime mosse della Fed, che molto difficilmente dovrebbe sorprendere nei prossimi mesi in senso restrittivo. Al contrario, da Francoforte è più probabile che arrivino segnali meno accomodanti di quanto atteso dal mercato, con la conseguenza che il cambio euro-dollaro dovrebbe trovare margini di crescita, anziché tendere al ribasso. In queste ore, la reazione degli investitori si è tramutata in un leggero deprezzamento della moneta unica contro il biglietto verde, ma il trend potrebbe mutare nelle prossime settimane, man mano che giungeranno nuovi dati macro dall’unione monetaria, sebbene peseranno le frizioni politiche in Italia e la debolezza delle quotazioni del greggio.

(Leggi anche: Svolta cambio euro-dollaro nel 2019)