Non è la classica “guerra tra poveri”, bensì all’opposto lo scontro storico tra ultra-ricchi e ceti popolari. Potremmo definire così lo sciopero indetto dalle 22.00 di ieri sera fino alle ore 6.00 di stamattina dall’Unione sindacale di base allo stabilimento Fiat Chrysler di Melfi per protestare – audite, audite – contro il super-ingaggio di Cristiano Ronaldo alla Juventus. Secondo le prime stime rese note da un portavoce dell’azienda, le adesioni sarebbero state sostanzialmente nulle (0,3%), ovvero pari a soli 5 dipendenti su 1.700 del turno.

Cosa c’entra l’attaccante portoghese con i lavoratori della casa automobilistica italo-americana? Sia il club bianconero che FCA sono di proprietà della famiglia Agnelli tramite la cassaforte Exor, che detiene il 64% del primo e il 30% della seconda. Ed ecco la facile equazione del sindacato autonomo: a CR7 viene corrisposto un mega-ingaggio da circa 31 milioni di euro netti all’anno, quando un lavoratore Fiat percepisce mediamente una busta paga da 18.300 euro, ovvero di 1.690 volte più bassa. E a Melfi, dove la produzione della Punto cessa dopo 25 anni, è stata richiesta la cassa integrazione per 1.640 dei 5.400 dipendenti dello stabilimento, i quali subiranno così un taglio dello stipendio del 28%.

Ronaldo alla Juve, gli effetti sulla Serie A: ecco perché la palla passa agli altri club 

FCA aveva promesso il riassorbimento di tutti i lavoratori entro la fine di quest’anno, ma a causa di un ritardo negli investimenti, l’obiettivo dovrebbe essere raggiunto entro i prossimi 4 anni. Le sigle sindacali principali si sono dissociate dallo sciopero, ma resta il fatto che l’arrivo a Torino del brillante attaccante ex Real Madrid abbia provocato l’indizione di uno sciopero sull’assunto per cui la società troverebbe i soldi per “strapagare” un fenomeno del calcio, mentre costringe migliaia di padri di famiglia a fare sacrifici.

Il business CR7

C’è un nesso tra lo stipendio da nababbo di CR7 e i bassi stipendi o la cassa integrazione per i lavoratori Fiat? Nessuno.

Difficile credere che un sindacato, quali che siano le propri inclinazioni ideologiche, non riesca a comprendere che la Juventus di Andrea Agnelli non ha certo deciso di buttare dalla finestra 350 milioni di euro, a tanto ammonta il costo dell’operazione Cristiano Ronaldo nell’arco del quadriennio. L’ingaggio stellare non è frutto della volontà della società bianconera di investire a fondo perduto in un giocattolo, bensì il “giusto” valore che si deve a un asset, che nel tempo dovrebbe ripagare per intero l’investimento effettuato, esitando auspicabilmente un risultato positivo sia in termini finanziari che sportivi.

Ronaldo alla Juve, perché Agnelli punta sul portoghese

Volendo parlarci chiaramente, a Cristiano Ronaldo vengono pagati oltre 30 milioni netti all’anno perché li vale fino all’ultimo centesimo. Non solo per il bel gioco garantito (446 reti segnate in 434 presenze con il Real), ma anche per la sua capacità di trasformare in oro tutto ciò che tocca, grazie ai suoi 135,4 milioni di follower su Instagram, 73,5 milioni su Twitter e 122 milioni di “mi piace” alla sua pagina Facebook. Al confronto, la Juve è un nanetto social con i suoi 12 milioni di fans su Instagram, 33 su Facebook e 6,14 su Twitter. In pochissimi giorni, questi numeri stanno salendo vertiginosamente, segno che la scommessa di Giuseppe Marotta e il presidente Agnelli possa essere vinta, specie se si tiene conto che già dopo 24 ore dall’annuncio ufficiale del portoghese alla Juve, risultano essere state vendute oltre 500.000 maglie con il marchio CR7 bianconero e per un incasso lordo stimabile in 60 milioni di euro. Tanto per rendere l’idea, l’intero canale del merchandising aveva chiuso la stagione scorsa con un fatturato di appena 18 milioni. In altre parole, Ronaldo alla Juve avrebbe più che triplicato i ricavi derivanti dalla vendita delle magliette in un solo giorno.

Cristiano Ronaldo non c’entra con Melfi

Capiamo adesso perché certi mega-stipendi, bollati superficialmente come “immorali”, trovino al contrario una giustificazione prettamente economica? C’è un vizio atavico nella cultura italiana, ossia di pensare che chiunque percepisca redditi di gran lunga superiore alla media nazionale stia, in un certo senso, rubandoli a qualcun altro o non abbia fatto nulla per meritarsi una tale fortuna. In fondo, 30 milioni e passa all’anno per “correre dietro a una palla” sarebbe una follia. Se non fosse che questo alimenti un business, che finisce per portare benefici a tutti, anche ai lavoratori Fiat. Per quest’anno, l’ad Sergio Marchionne stima in 1,9 milioni le Jeep vendute nel mondo, ma il suo obiettivo sarebbe di arrivare a 3,3 milioni entro il 2022. Come riuscirci? Anche grazie a CR7, che associando la sua immagine al marchio FCA, riuscirebbe a farlo penetrare commercialmente di più tra gli ispanici e forse anche sul mercato asiatico.

Jeep beneficerà del trasferimento di Cristiano Ronaldo alla Juventus

Aldilà della possibile sponsorizzazione di Jeep o Ferrari in favore di CR7 e tutti gli annessi benefici per il fatturato di una delle due società, la protesta contro il nuovo acquisto della Juve da parte del sindacato Usb di Melfi appare insensata, tranne che non sia stata in sé una trovata geniale: sfruttare l’evento mediatico mondiale dell’anno per porre al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica il tema delle condizioni dei lavoratori Fiat. Tuttavia, non è inveendo contro il portoghese che si possono risolvere i veri problemi degli stabilimenti italiani, che hanno a che fare con la bassa produttività, a sua volta causa di bassi stipendi. E non stiamo certo dicendo che i lavoratori Fiat siano poco produttivi perché non abbiano voglia di lavorare, semplicemente che i livelli di produzione appaiano ancora inadeguati a giustificare quelli occupazionali. Le ragioni sono diverse: clima tendenzialmente ostile al business in Italia, tra cui alta tassazione e cuneo fiscale disincentivanti per lavoratore e impresa; fase storica di transizione per il mercato automobilistico mondiale, caratterizzato da una sempre più forte concentrazione tra marchi prima avversari; riconversione della produzione verso modelli più in linea con le nuove preferenze dei consumatori.

I sindacati dovrebbero pretendere di intavolare con il management una seria discussione su come elevare i tassi di produttività e trasformarli in stipendi più sostanziosi e occupazione più stabile. Il governo non è spettatore passivo in questo dibattito, perché se un’azienda decide di varare un piano di investimenti, ha diritto di conoscere quale sarebbe il quadro normativo e fiscale di medio e lungo termine. Del resto, anni fa Marchionne decise di lasciare Confindustria, convinto come persino i modelli contrattuali e negoziali della confederazione degli industriali in Italia fosse un impedimento all’attuazione dei suoi piani aziendali. L’affare Ronaldo non ha proprio niente a che vedere con i livelli stagnanti dei salari italiani, che riguardano un po’ tutti i comparti della nostra economia. Semmai, esso dimostra come le retribuzioni siano sempre legate alla produttività, ovvero alla loro capacità di generare flussi di reddito in favore dell’impresa. Immorale non è il mega-ingaggio di CR7, bensì la fuga dalla realtà di un Paese, che trova di volta in volta nuovi capri espiatori per giustificare il proprio fallimento.

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