Lo spread è tornato e ha già seminato paure tra gli italiani, memori del nefasto biennio 2011-’12, quando i rendimenti dei titoli italiani esplosero e contestualmente le nostre banche chiudevano i rubinetti del credito, aprendo la porta della recessione per ben 3 anni di seguito, quando ancora non avevamo superato gli effetti del crollo del pil nel 2008 e 2009. Brutti ricordi, che diventano un incubo per i titolari di un mutuo o per quanti si accingerebbero a contrarne uno. Molti giornali hanno dato la notizia, in questi giorni, che la crisi dello spread impatterebbe sulle rate dei mutui.

Persino qualche esponente politico ha trovato il collegamento tra BTp e mutui. Ma sarà vero?

Per offrirvi una risposta seria, dobbiamo distinguere tre casi: chi ha contratto già un mutuo a tasso fisso, chi ne ha contratto uno a tasso variabile e chi sta contraendone uno a tasso fisso o variabile. Nel primo caso, va da sé che non vi sarebbe alcun impatto, quand’anche lo spread dovesse salire a 1.000 punti. Il mutuo contratto a tasso fisso non risente delle variazioni dei tassi sui mercati fino al pagamento dell’ultima rata. Dunque, i suoi titolari possono dormire sonni più che tranquilli.

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E chi avesse stipulato un mutuo a tasso variabile? La rata del mutuo si riduce o aumenta sulla base dell’Euribor, un tasso a varie scadenze, che riflette i tassi medi praticati dalle banche nell’Eurozona da 1 a 12 mesi. Ora, l’Euribor è rimasto ai minimi storici nell’ultimo anno e mezzo, praticamente inalterato. Quello a 1 mese rende il -0,37%, quello a 1 anno il -0,19%. Dunque, chi dovesse pagare un mutuo a tasso variabile non dovrebbe avere alcun timore di possibili aumenti della rata da qui a breve, perché se ciò prima o poi accadrà, sarà solo per effetto delle mutate condizioni monetarie nell’Eurozona, le quali certamente da qui a diversi mesi o qualche anno al massimo saranno rese più restrittive.

E, comunque, la BCE inizierà ad alzare i tassi verosimilmente dalla fine dell’anno prossimo e con molta gradualità. Per capirci, non rischiate di passare da una rata di 500 a una di 600 euro al mese in un batter d’occhio.

In realtà, c’è un effetto potenzialmente paradossale della crisi dello spread. Essa allontanerebbe la data dell’uscita della BCE dal programma degli stimoli monetari, in quanto smettere oggi di acquistare titoli di stato e segnalare ai mercati che i tassi stiano per aumentare da qui a pochi mesi sarebbe più rischioso rispetto a poche settimane fa, vista la bufera finanziaria che sta investendo l’Italia, terza economia dell’area. In pratica, pur chiarendo che Mario Draghi non agisce per calmierare i rendimenti dei BTp o di altri bond, bensì con la sola finalità di centrare il target d’inflazione (di poco inferiore al 2%), potrebbe persino accadere che l’Euribor sosti ai livelli attuali più a lungo e, quindi, che le famiglie che abbiano contratto già un mutuo a tasso variabile finiscano per beneficiare delle tensioni di queste settimane sui nostri bond.

E per i nuovi mutui?

Infine, i futuri mutuatari. Qui, il discorso potrebbe cambiare. In teoria, valgono gli stessi ragionamenti di cui sopra. I mutui a tasso variabile sono agganciati all’Euribor o più raramente ai tassi BCE, quelli a tasso fisso all’Eurirs, a loro volta legati ai rendimenti dei Bund, che fungono da “benchmark” per il mercato dell’unione monetaria. E come abbiamo anticipato, l’effetto spread non ha influito sull’andamento degli Euribor, mentre sembra avere agito sugli Eurirs, ma in direzione favorevole, ovvero facendo scendere i tassi medi praticati nell’area.

Un esempio? Il 15 maggio scorso, l’Eurirs a 10 anni si attestava all’1,07%, l’altro ieri risultava sceso allo 0,90%. Il ventennale è passato dall’1,55% all’1,41% e il trentennale dall’1,60% all’1,46%. Perché? Essendo legati ai titoli tedeschi, questi tassi si sono giovati del crollo dei rendimenti dei Bund, che per la scadenza decennale sono passati in un paio di settimane dallo 0,64% allo 0,29%, a causa del tipico fenomeno del “fly to quality” che si verifica nelle fasi di tensione sui mercati, ovvero gli investitori si rifugiano in assets percepiti come più sicuri.

Ne dovremmo dedurre, quindi, che anche per gli imminenti contraenti di un mutuo, specie a tasso fisso, dovrebbero arrivare buone e non cattive notizie sul fronte dei tassi. Tuttavia, sarebbe semplicistico tale ragionamento. In effetti, la crisi dello spread qualche danno lo dovrebbe avere provocato. La curva dei rendimenti in Italia si è appiattita. I decennali in un paio di settimane sono schizzati dall’1,93% al 3,10%, i biennali dal -0,07% al 2,43%. Su quest’ultima scadenza, mai dal 1992 si era registrata un’impennata così repentina. Lo spread tra 10 e 2 anni risulta così crollato da 200 a 67 punti base. Poiché le banche sono solite prestare a lungo e prendere a prestito a breve, la tendenza segnala per loro una lievitazione dei costi nella raccolta del risparmio molto più marcata di quella verificatasi sulle scadenze medio-lunghe. Dunque, crescerebbe la pressione per rendere più cari i prestiti, essendo più onerosi i capitali da rastrellare sul monetario.

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Che cosa potrebbe accadere? Sui nuovi contratti, le banche italiane inizieranno verosimilmente a imporre spread più alti da applicare all’Euribor e all’Eurirs, in modo da tutelarsi contro un rincaro del costo del denaro ai loro danni. I tassi finali (TAEG e TAN) applicati alla clientela, quindi, tenderebbero a salire, a parità di tassi di riferimento per le due tipologie di mutuo.

Per fortuna, però, da ieri buona parte del boom dei rendimenti si sta sgonfiando. I biennali sono crollati allo 0,86% e i decennali al 2,98%. Lo spread tra le due scadenze si è così ampliato a oltre 210 punti base, ovvero a livelli persino superiori a quelli precedenti le tensioni. In ogni caso, il segnale non è stato positivo per le banche italiane, che per mettersi al sicuro potrebbero finire ugualmente per ritoccare all’insù il loro spread, quello su Euribor ed Eurirs.

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