Il mercato del lavoro in Europa sta migliorando da diversi trimestri, come indicano i tassi di disoccupazione in calo nella UE e nell’Eurozona, rispettivamente al 7,7% e al 9,1% a luglio. Ma le differenze tra stato e stato sono elevate. Si pensi che in Grecia risulta senza occupazione ancora quasi un lavoratore su quattro, mentre in Germania appena uno su venti, tanto che le imprese tedesche sono a caccia di ingegneri e gli ospedali di infermieri, con programmi di reclutamento avviati persino tra i profughi.

La piena occupazione è uno degli obiettivi primari di qualsiasi governo, anche se in pochi riescono a centrarla. Uno di questi è quello danese, che registra un tasso di disoccupazione al 4,3%, tra i più bassi di tutta Europa e tra le economie avanzate. (Leggi anche: Svezia e Danimarca divise dalla disuguaglianza. In discussione modello scandinavo)

Nonostante a Copenaghen dovrebbero fare salti di gioia per celebrare un simile risultato, in questa fase stanno prevalendo e preoccupazioni. Perché? Nel paese scandinavo lavorano praticamente tutti e le imprese non riescono a trovare sufficiente manodopera per aumentare la produzione. Un terzo di quelle attive nell’industria e, in particolare, nel comparto tecnologico si trova costretto a rinunciare ad assumere o ad attendere anche parecchi mesi, prima di fare entrare in organico un nuovo dipendente, non avendo modo di trovarlo.

Nemmeno gli aumenti salariali starebbero spingendo nuovi danesi a lavorare. Eppure, il tasso di occupazione in Danimarca non risulta così elevato, anzi è persino diminuito negli ultimi mesi al 64,7%, in linea con la media europea, ma ben lontano dal 75% della vicina Germania. Qualcosa, quindi, non starebbe funzionando nel mercato del lavoro danese? Possibile e il problema sarebbe l’altissima tassazione. Secondo l’OCSE, la pressione fiscale nel paese sarebbe la più alta tra tutte le economie avanzate, pari al 46,6%, contro una media del 34,3% per il resto dell’area.

Taglio delle tasse e lavoratori stranieri

I redditi da lavoro sono tartassati in Danimarca fino al 57% per lo scaglione più alto, ragione per cui lo stesso governo attuale di centro-destra del premier Lars Lokke Rasmussen riconosce che le tasse vadao tagliate e ha annunciato un piano di 23 miliardi di corone (3,09 miliardi di euro) da qui al 2025, teso a rendere più allettante il lavoro.

Si stima che oggi come oggi vi siano 92.000 danesi, che pur potendo lavorare, non lo facciano, confortati dal generoso sistema sociale nazionale e scoraggiati dall’alto peso delle imposte sul lavoro. Per questo, nei giorni scorsi il governo ha esteso il piano in favore dei lavoratori stranieri qualificati, concedendo loro di restare fino a 7 anni dai 5 attualmente previsti, godendo di una tassazione agevolata. Ad oggi, gli stranieri con determinati criteri possono pagare un’aliquota “solo” del 26% per 5 anni, oltre a un contributo dell’8% per accedere agli stessi benefici assistenziali goduti dai danesi. Con le nuove misure, l’aliquota viene incrementata al 27%. (Leggi anche: Danimarca svolta a destra, Rasmussen vince sul tema immigrazione)

Tra le misure ipotizzate per stimolare l’economia vi è anche il taglio dell’onerosissima tassa di registrazione per l’acquisto di un veicolo. Ad oggi, i danesi sono costretti a pagare il 150% del prezzo di cessione e fino al 2015 ben il 180%. L’esecutivo punta a tagliare la tassa al 100%, che resterebbe, in ogni caso, un importo senza eguali nel mondo avanzato, in grado di scoraggiare gli acquisti di auto e moto.

Scegliere tra immigrati e bassa crescita?

La banca centrale è in allerta sulle possibili ripercussioni negative sulla crescita economica della carenza di lavoratori disponibili. Il pil è cresciuto dell’1,2% nel 2016, ma nel primo trimestre di quest’anno ha accelerato al 2,9% e nel secondo trimestre al 2,6% su base annua. Secondo l’istituto, tra cambi frequenti di lavoro e aumenti salariali per trattenere quelli assunti o per attirarne di nuovi, le imprese potrebbero imbattersi in problemi di produttività calante e di inflazione.

A differenza della Germania, la politica sull’immigrazione della Danimarca è restrittiva e va detto che tra i rifugiati non sono state riscontrate caratteristiche in grado di renderli immediatamente occupabili nel paese. Da qui, o si apre ai lavoratori stranieri con misure come quelle per accogliere i lavoratori qualificati europei o i danesi dovranno accettare tassi di crescita più bassi. Certo, per essere un problema, di piena occupazione vorrebbero preoccuparsi tutti i governi.