L’inflazione in Turchia ha accelerato anche nel mese di luglio, salendo al 79,6%, il dato più alto degli ultimi 24 anni. I prezzi dei generi alimentari e delle bevande non alcoliche sono esplosi del 94,65%, mentre il costo dell’energia ha segnato un drammatico +129,3%. Malgrado ciò, la banca centrale sta tenendo i tassi d’interesse alla cifra ridicola del 14%. Non può fare altrimenti, dato che il presidente Erdogan pretende che i tassi siano tenuti bassi per stimolare l’economia turca e, a suo modo di vedere, ridurre l’inflazione.

La lira turca, nel frattempo, procede sulla strada verso il precipizio. Questa settimana, flirta con la soglia di 18 contro il dollaro. In pratica, quest’anno ha già perso oltre un quarto del suo valore. Nel 2021, aveva registrato un pesante -44%. Nel dicembre scorso, toccò il suo minimo storico contro il dollaro a 18,36.

Lira turca giù in piena estate

Governo e banca centrale intervennero proprio negli ultimi giorni dell’anno per arrestare la debolezza del cambio. Furono varate restrizioni ai movimenti dei capitali. E venne introdotto uno schema sui depositi in valuta locale per disincentivare le conversioni dei risparmi in valute forti. Ai risparmiatori fu offerta la possibilità di ottenere tassi d’interesse non inferiori alla percentuale di svalutazione della lira turca contro le altre valute. La differenza con gli eventuali minori tassi offerti dalle banche la versa lo stato, in parte anche la banca centrale.

Questo schema avrebbe attirato 28-30 miliardi di dollari di capitali, convertiti in valuta locale. La lira turca aveva effettivamente recuperato terreno, ma poiché il tempo guadagnato è andato sprecato, si sta riportando ai fondamentali. E proprio l’estate era considerata dal governo una stagione fertile per stabilizzare il cambio, grazie alle entrate del turismo. Invece, sta andando diversamente.

Tra luglio e agosto, si stima che saranno prorogati o ritirati in gran parte i risparmi rientranti nel suddetto schema di tutela.

Dalle banche trapela un cauto ottimismo. Non sembra che i risparmiatori turchi stiano chiudendo i conti in lire per aprirne di nuovi in dollari ed euro. Del resto, paga lo stato. Entro giugno, il costo era stato di 32 miliardi di lire per i conti pubblici. E più la lira turca s’indebolisce, maggiore l’esborso a carico del governo. Ed ecco che la crisi del cambio mette sotto pressione anche la politica fiscale.

Fuga dai prestiti in dollari ed euro

Se i risparmiatori sono chiamati a scegliere se rinnovare i conti in lire o se accenderne di nuovi in valute forti, molte imprese stanno richiedendo prestiti in lire per pagare debiti in dollari ed euro. Un terzo delle erogazioni sta servendo a questo scopo, stando ai dati dell’authority bancaria. In questo modo, cercano di sottrarsi alla debolezza della lira turca, che minaccia i loro bilanci attraverso il peso di debiti esteri sempre più pesanti. In gran parte, quest’anno hanno preso a prestito denaro quando i tassi d’interesse erano 20%, mentre oggi sono saliti al 30%.

I prestiti commerciali sono aumentati del 46,1% dall’inizio dell’anno, arrivando a 2.700 miliardi di lire (148 miliardi di euro). La massa monetaria esplode per effetto dei tassi d’interesse reali più bassi al mondo (-66%). Prendere a prestito denaro in Turchia conviene, dato che il costo risulta essere nettamente inferiore alla perdita del potere di acquisto. Proprio questo meccanismo perverso sostiene l’inflazione, impoverendo le famiglie e costringendo le imprese ad allentare la dipendenza dalla finanza straniera per non finire a gambe per aria.

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