Dopo anni di discussioni e trattative complesse tra gli stati, l’1 gennaio scorso è nato ufficialmente il mercato unico africano. In sigla, l’accordo si chiama African Continental Free Trade Area ed è stato ratificato già da 34 paesi sui 53 aderenti. L’unico stato del continente ad essere voluto rimanere fuori è l’Eritrea. Parliamo di un’area di libero scambio di 1,2 miliardi di abitanti, la più grande al mondo, e con un PIL complessivo di 2.500 miliardi di dollari. Per il continente più povero del mondo, si tratta di una grande svolta e si spera di raccoglierne i benefici quanto prima.

Africa controcorrente verso il mercato unico, ma per ora senza i big

L’accordo prevede l’eliminazione dei dazi sul 90% dei prodotti e l’abbattimento delle barriere non tariffarie. Anche sui servizi si va verso una graduale integrazione. Qual è l’idea alla base? Integrare le economie nazionali, ad oggi frutto di retaggi coloniali. Lo dimostra il fatto che gli scambi commerciali interni incidano per appena il 16,6% del totale, mentre in Europa sfiorano il 70% e si attestano al 60%. Di fatto, ancora oggi le esportazioni africane sono concepite per trovare mercati di sbocco presso gli altri continenti, perlopiù materie prime. In effetti, oggi i dazi medi applicati tra stati africani sono del 6,1%, superiori a quelli che gli stessi applicano sulle importazioni dal resto del mondo. Con l’accordo, si punta a intensificare l’import/export infracontinentale di almeno il 50% entro la fine del decennio.

Non sarà facile. Anzitutto, perché le infrastrutture sono carenti. Le esportazioni ad oggi avvengono essenzialmente tramite i porti, dai quali le merci vengono caricate per raggiungere il Vecchio Continente, anzitutto. Servono vie di collegamento interne e per costruirle sono necessari grossi investimenti per decine e decine di miliardi di dollari all’anno. Le difficoltà sono ampliate anche dalle forti differenze normative e burocratiche tra stato e stato, che rendono complicato procedere verso una maggiore uniformità di regole e di controlli.

Per non parlare dei numerosi conflitti tra i diversi stati, con annessa diffidenza tra i governi e le stesse popolazioni.

Gli obiettivi del mercato unico africano

Ma l’obiettivo del mercato unico è ambizioso: creare milioni di nuovi posti di lavoro, a beneficio particolarmente di giovani e donne. Ad Accra, la capitale del Ghana, ha sede l’organismo che sorveglierà l’implementazione dell’accordo. I dati ci dicono che i tre quarti delle esportazioni extra-continentali sono di natura estrattiva, cioè derivano dalla vendita di materie prime. Le esportazioni infra-continentali estrattive, invece, ammontano al 40% del totale. Esse sono “capital intensive”, cioè tendono a creare relativamente pochi posti di lavoro. Per questo, potenziare gli scambi commerciali tra stati africani indurrebbe le economie a creare più posti di lavoro, specie tra i segmenti spesso più discriminati della popolazione, principalmente le donne.

Le donne incidono per una percentuale molto elevata (70%) dei lavoratori coinvolti negli scambi commerciali irregolari tra stati e per questo spesso diventano vittime di abusi e violenze delle autorità. Ma con l’entrata in vigore dell’accordo, il mercato nero perderà progressivamente di significato, per cui queste posizioni lavorative troveranno spazio a favore del mercato regolare, contribuendo alla crescita del gettito fiscale. Sarà un cambio di mentalità dirompente. In pratica, ad oggi i dazi sono stati concepiti dai governi africani come una fonte di entrata, mentre d’ora in avanti diverranno uno strumento di politica industriale.

Non mancano i dubbi circa i risultati. Ad esempio, i benefici dell’aumento degli scambi infra-continentali saranno ripartiti in maniera omogenea o alcuni stati rischiano di vederne pochi o niente? L’accordo reggerà alle possibili contestazioni degli uni contro gli altri sull’implementazione delle regole? E i governi sono realmente preparati al cambio di mentalità, che presume anche la creazione di un unico spazio per il riconoscimento di brevetti, licenze e il libero accesso al mercato dei servizi da parte di società straniere? Tutte domande che resteranno senza risposta per questa prima fase e che valgono la scommessa, quella di debellare la povertà dal continente.

Un tema che riguarda noi europei da vicinissimo, come dimostrano gli sbarchi incessanti di migranti sulle nostre coste da anni a questa parte.

Economia africana a una possibile svolta: mercato comune in tutto il Continente

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