Questa settimana è iniziata con un dato macroeconomico a dir poco sorprendente: a maggio la bilancia commerciale in Germania è risultata negativa di 1 miliardo di euro. Per la prima volta dal 1991, il saldo è stato sottozero, cioè il valore delle esportazioni (125,8 miliardi) è stato inferiore al valore delle importazioni (126,7 miliardi). Lo shock non era del tutto inatteso a Berlino. L’economista di ING, Carsten Brzeski, ha stimato che la bilancia commerciale tedesca non tornerà ad offrire un contributo positivo all’economia domestica “per i prossimi due anni”.

Per la Germania, che sta registrando tassi d’inflazione ai massimi degli ultimi 40 anni, si tratta a tutti gli effetti di un cambiamento paradigmatico.

Crisi in Germania tra inflazione ed export

L’intera Eurozona è passata dall’essere un’economia esportatrice netta a importatrice netta. Nei primi quattro mesi dell’anno, l’area ha registrato un saldo passivo di 85 miliardi di euro. Nel primo quadrimestre del 2021, aveva registrato un avanzo di quasi 72 miliardi. Il fenomeno sta riguardando la stessa Italia e la causa in tutti i casi è la stessa: l’esplosione dei prezzi energetici.

Già la pandemia aveva messo in crisi il modello tedesco con i colli di bottiglia verificatisi lungo le catene di produzione. Il colpo di grazia è stato assestato dalla guerra in Ucraina, che ha infiammato ulteriormente i prezzi delle materie prime. In un solo colpo, in Germania sono venuti meno due fattori strutturali dell’economia: la stabilità dei prezzi e le esportazioni. Ancora nel 2021, il saldo commerciale era attivo per il 5% del PIL tedesco.

Recessione all’orizzonte nell’Area Euro

La virata in negativo dell’import-export porterà con ogni probabilità l’economia tedesca in recessione. La stessa sorte spetterà al resto dell’area entro la fine dell’anno. Per supplire all’assenza del saldo commerciale come driver per la crescita, i tedeschi avranno bisogno di rilanciare la domanda aggregata interna.

Un aiuto potrà arrivare dal piano di 100 miliardi di euro per l’innalzamento delle spese militari. Ma non basterà. Le famiglie tedesche spendono la media del 50-52% del PIL contro il 60% delle economie avanzate (70% negli USA). In altre parole, la Germania dovrà ridurre la sua propensione al risparmio se non vorrà accusare una recessione duratura e possibilmente intensa nei prossimi trimestri.

Tuttavia, puntare sui consumi e gli investimenti interni non sarà facile in questa fase. La BCE si accinge ad alzare i tassi d’interesse per combattere l’alta inflazione. Il costo del denaro salirà e ciò non depone a favore proprio di imprese e famiglie. Le seconde stanno già subendo i contraccolpi della perdita veloce del potere d’acquisto. Certo, ciò frenerà le importazioni, ma resta da vedere quale sarà l’impatto netto sull’economia tedesca nel breve periodo.

Gli stessi governi nel loro insieme stanno tendendo a una politica fiscale più restrittiva rispetto al triennio in corso. Invece, il cambio euro-dollaro resta debolissimo, ai minimi degli ultimi venti anni. Almeno questo sta offrendo sollievo alle esportazioni tedesche e dell’intera Eurozona, sebbene proprio con la stretta sui tassi BCE verrebbe meno anche questo fattore favorevole.

Nuovo ordine mondiale spaventa Berlino

Ma non è la congiuntura a spaventare più di tanto i tedeschi. Il modello economico scaturito dalla riunificazione era basato sulla produzione a basso costo, perlopiù grazie alle importazioni di petrolio e gas dalla Russia. La competitività della Germania era data da ciò, dalla capacità di sfruttare le proprie relazioni geopolitiche per accedere alle materie prime a costi contenuti e ai nuovi mercati di sbocco (vedi Cina) per esportare. Comunque vada a finire con la guerra in Ucraina, questo modello non appare più sostenibile. Comprare energia dalla Russia per produrre in Germania e vendere in Cina non funzionerà più come prima.

Berlino dovrà inventarsi qualcosa di nuovo per non uscire ridimensionata dal riassetto geopolitico in corso.

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