L’Italia si sta muovendo a capo di un ristretto gruppo di paesi che chiedono all’Unione Europea (UE) di imporre un tetto al prezzo del gas “dinamico”. Si tratterebbe di fissare un prezzo di riferimento, attorno al quale le quotazioni del gas potrebbero muoversi in alto e in basso. Se il premier uscente italiano Mario Draghi parla di “rischio per l’unità UE”, il collega belga Alexander De Croo non usa mezzi termini nel rimarcare il rischio di una “deindustrializzazione” del Vecchio Continente.

La crisi dell’energia rappresenta la più grande minaccia che incombe sull’Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Lo è sul piano, anzitutto, economico, ma anche politico e sociale. E in forse vi è, a questo punto, la stessa sopravvivenza dell’euro.

Manca risposta unitaria UE

Il caro bollette pesa in misura abnorme sui redditi delle famiglie e i bilanci delle imprese. Di questo passo, molte attività dovranno chiudere o almeno sospendere la produzione. Sta già iniziando ad accadere. Ne risentirebbe l’economia in generale, con posti di lavoro distrutti e molti più disoccupati a spasso. Nel frattempo, molte utenze non potrebbero essere pagate. Ci sarebbero numerosi distacchi di luce e gas. Il malcontento sociale diverrebbe alto e insostenibile per qualsiasi governo.

Proprio per evitare tutto ciò è necessario che la UE prenda di petto la crisi dell’energia. Ma la Germania ha posto una pietra quasi tombale su qualsiasi prospettiva di offrire una risposta unitaria. Ha deciso di fare da sé con un piano nazionale di 200 miliardi di euro. Lo ha potuto fare grazie alle solide finanze tedesche. Per quasi tutto il resto dell’area, misure simili non sarebbero replicabili.

Crisi dell’energia minaccia per Bruxelles

Cosa fare? Finora, la risposta di Bruxelles è stata di fissare una percentuale di taglio dei consumi di gas e luce. A ridosso dell’inverno, non esiste alcun piano europeo per fermare la speculazione sul mercato olandese dei TTF, né per aumentare il potere negoziale degli stati in fase di approvvigionamento energetico con acquisti unitari.

Qualcuno inizierà presto a chiedersi se il beneficio di far parte dell’Unione Europea sia effettivamente superiore al costo.

La percezione diffusa rischia di essere negativa verso le istituzioni comunitarie. A quel punto, sarebbero in pochi ad accettare sacrifici imposti dall’alto, venuta meno la “legittimazione” di Bruxelles, che agli occhi dei più sarebbe un inutile carrozzone di burocrati. E la crisi dell’energia, sostenendo l’inflazione, rischia di delegittimare lo stesso euro. La BCE non potrà alzare i tassi d’interesse fino al punto di aggravare eccessivamente la crisi economica. Ma così verrebbe meno uno dei capisaldi della moneta unica, ossia il mantenimento della stabilità dei prezzi e del cambio.

Il Nord Europa dovrebbe porre a freno le crescenti proteste dei cittadini contro un euro incapace di fungere da fattore di stabilità per l’economia. Il Sud Europa avrebbe il problema dei costi d’indebitamento crescenti, a causa dei quali già oggi non può reagire adeguatamente alle conseguenze provocate dalla crisi dell’energia. Le ragioni dello stare assieme si sgretoleranno in men che non si dica. E più le temperature si abbasseranno, minore la tolleranza ai sacrifici imposti dalla mancata reazione unitaria dell’Europa. I commissari non stanno capendo che il caro bollette travolgerà tutto.

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