Giovedì si riunisce per la quinta volta quest’anno il board della BCE e finalmente sapremo se a Francoforte intendono imprimere l’acceleratore sul “tapering”, ritirando dall’inizio dell’anno prossimo gli stimoli monetari, oppure se dalla conferenza stampa del governatore Mario Draghi emergeranno toni ancora da “colomba”, in grado di allontanare il rialzo dei tassi nelle attese del mercato. Quale che sia l’esito della riunione, tutti i traders sono consapevoli da settimane che la stretta monetaria si stia avvicinando e che con il rialzo dei tassi bisogna prima o poi farci i conti.

Poiché il mercato sconta sempre in anticipo le notizie, è già in corso un moderato sell-off dei titoli obbligazionari, i cui prezzi stanno cedendo e i rendimenti salendo.

Limitandoci ai principali bond governativi dell’Eurozona, notiamo che dal 26 giugno scorso, giorno di commenti “hawkish” di Draghi in Portogallo, i rendimenti decennali italiani sono saliti dall’1,90% al 2,30%, quelli tedeschi dallo 0,25% allo 0,60%, quelli francesi dallo 0,60% allo 0,87%, quelli spagnoli dall’1,38% all’1,68%. (Leggi anche: Partito sell-off sui mercati, ma non chiamatelo roteazione)

Come proteggere il portafoglio di investimenti

Ma come si fa a proteggere il proprio portafoglio di investimenti in questa fase rialzista dei tassi? Le strategia potrebbero essere diverse e contestuali. Anzitutto, cosa spinge i tassi in alto? La risposta sta nell’aspettativa di un’inflazione maggiore, grazie a una crescita moderata, per quanto ancora insoddisfacente nell’Eurozona. Inflazione più alta richiede rendimenti nominali più elevati per le obbligazioni, da qui le vendite di bond.

Al contrario, i processi di reflazione si accompagnano tipicamente a fasi rialziste dei corsi azionari. Le azioni vengono acquistate, infatti, per proteggere l’investimento dalla perdita di potere d’acquisto della moneta. Il caso più estremo è di questi anni in Venezuela, dove a fronte di un’esplosione dei prezzi a 3-4 cifre all’anno, la borsa di Caracas ha moltiplicato per oltre 10 il suo valore nel solo ultimo anno.

Più azioni, meno bond

Dunque, un primo suggerimento, ma che non vuole essere una sollecitazione verso una qualche forma di investimento, sarebbe di incrementare la quota del portafoglio dedicata alle azioni e di ridurre contestualmente quella per le obbligazioni, anche perché le stesse prospettive di un’inflazione più alta risentono del migliorato clima economico, il quale a sua volta spinge a ipotizzare utili più elevati per le imprese, quotate e non. Chiaramente, non tutte le azioni sono uguali, perché sarebbe opportuno tenersi alla larga dalle società quotate relativamente molto indebitate, essendo esposte alle variazioni dei tassi. Un esempio sono le utilities, ovvero le compagnie erogatrici di servizi (luce, telefonia, etc.), le quali tipicamente investono ingenti capitali presi anche in prestito, ma che nelle fasi di aumento del costo del denaro subiscono un’erosione dei margini e, pertanto, dovrebbero performare male in borsa. (Leggi anche: Investire in Europa, meglio bond o azioni?)

Poiché per un portafoglio di dimensioni medio-piccole avrebbe poco senso puntare su titoli specifici, il consiglio sarebbe di investire su Etf indicizzati, ad esempio, come sull’Ftse Mib, in grado così di cogliere l’andamento generale del mercato e non di uno o più comparti. Certo, si consideri che il principale listino di Milano è influenzato dai grossi titoli, come quelli delle utilities e i cui guadagni, quindi, potrebbero venire tendenzialmente limitati. Resta il fatto che Piazza Affari vale ancora oggi poco più della metà del periodo pre-crisi, mentre le altre principali borse, europee comprese, hanno superato e, in qualche caso, di molto i picchi anteriori allo scoppio della crisi finanziaria. In teoria, ciò suggerirebbe un maggiore potenziale per Milano, anche se il problema italiano sta nella bassa crescita dell’economia interna, che riduce le prospettive di profitto per le società quotate.

Tagliare le scadenze dei bond

Non basta limitare le esposizioni alle obbligazioni per limitare le perdite, ma sarebbe di gran lunga consigliato ridurne la durata media o duration. Quando i tassi salgono, non tutti i bond cedono in egual modo. Quelli con scadenze medio-lunghe tendono a perdere molto di più dei titoli con scadenze più brevi, essendo più sensibili alle variazioni dei rendimenti. Un esempio? Il BTp 2067 ha perso dal 26 giugno ad oggi quasi il 6%, mentre il decennale è sceso del 3,5% e il biennale di appena lo 0,4%. (Leggi anche: Perché il sell-off sui BTp sembra peggiore di tutti)

Dunque, vendere bond a medio-lunghe scadenze e comprare man mano altri con scadenze più brevi, mantenendo una certa quota del portafoglio investita nell’obbligazionario. Attenzione, però, a questo tipo di operazioni, perché negli ultimi anni, in conseguenza delle politiche ultra-espansive delle principali banche centrali, le obbligazioni con scadenze medio-brevi stanno rendendo negativamente, in alcuni casi anche quelle corporate. Questo significa che all’atto del loro acquisto, si sa con certezza che il prezzo a cui verranno rimborsate alla scadenza sarà più basso. In un’ottica speculativa, ovvero puntando su ulteriori rialzi dei prezzi, possono anche essere prese in considerazione, ma in una fase di aumento dei tassi, con prezzi calanti, il loro acquisto equivarrebbe a perdite praticamente assicurate.

E occhio al cambio

Ecco, quindi, che la strategia di protezione del portafoglio di investimento in pieno rialzo dei tassi passa per un incremento della quota dedicata alle azioni, una riduzione delle esposizioni verso l’obbligazionario e un abbassamento della duration media. Allo stesso tempo, si potrebbe tentare di sovrappesare i listini più colpiti dalla crisi dell’ultimo decennio, il cui potenziale di crescita sarebbe, quindi, maggiore. E vale anche la pena sui mercati esteri chiedersi quali titoli, obbligazionari e azionari, beneficerebbero dell’effetto cambio. (Leggi anche: Investire in Etf, record in Europa con la caccia al rendimento)

Su quest’ultimo punto, notiamo come l’euro dovrebbe complessivamente apprezzarsi contro le altre valute, ma alcune di queste potrebbero rafforzarsi nei prossimi anni.

Un esempio? La sterlina inglese, nel caso di un esito positivo per il negoziato con la UE sulla Brexit, così come il rublo russo, se le sanzioni UE e USA contro Mosca verranno ritirate e se il prezzo del petrolio almeno reggerà. Si tratta di valutazioni, però, così complesse, da rendere indispensabile l’ausilio di un consulente. Il fai da te, specie in momenti di transizione sui mercati, non è saggio.