Corre sempre di più l’inflazione nel mondo. Nell’Eurozona è salita al 4,9% nel mese di novembre, mai così alta nella sua storia e in forte rialzo dal 4,1% di ottobre, nonché sopra le attese al 4,5%. In Italia, va solo un po’ meglio, ma l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto del 3,8% dal 3% di ottobre, in rialzo mensile dello 0,7%. Utilizzando l’indice armonizzato europeo, l’inflazione italiana risulta salita al 4% dal 3,2% di ottobre, segnando una crescita mensile dello 0,8%. Certo, non siamo al 6% della Germania, ma si tratta in ogni caso del livello più elevato da oltre tredici anni e del doppio rispetto al target fissato dalla BCE.

A trainare i prezzi è ancora una volta il comparto energetico, che segna un incredibile +30,7%. Il petrolio ha toccato i massimi da tre anni alla fine di ottobre, quando ha superato gli 85 dollari per ogni barile di Brent. Tuttavia, nell’ultima settimana ha perso più del 13% sui timori per la recrudescenza della pandemia e, in particolare, per la diffusione della variante Omicron. Resta il fatto che il vertice OPEC dei prossimi giorni rischi di infiammare nuovamente le quotazioni. Indispettite per la mossa dell’amministrazione Biden di utilizzare 50 milioni di barili delle riserve strategiche, Russia e Arabia Saudita potrebbero optare per rallentare il processo di normalizzazione dell’offerta da parte del gruppo dei paesi esportatori.

Va anche detto che la variante Omicron da un lato rischia di provocare nuove chiusure, un fatto che raffredderebbe l’inflazione anche in Italia; dall’altro, però, potrebbe persino accelerarne la corsa. Difficile, infatti, che l’Europa opti per lockdown simili a quelli imposti nel 2020 e fino a prima dell’estate scorsa. Per due ragioni fondamentali: non può permetterseli sul piano economico e non vuole fomentare quella parte dell’opinione pubblica che ritiene inefficaci i vaccini contro il Covid. Le chiusure indiscriminate alimenterebbero l’opinione per cui vaccinarsi o meno sarebbe indifferente.

Possibile accelerazione dell’inflazione

Ed è così che la variante Omicron impatterebbe negativamente sulla produzione di beni e servizi, accentuando le strozzature dell’offerta, i famosi “colli di bottiglia”. D’altra parte, la domanda sarebbe solo marginalmente scalfita, non essendovi in vista grosse limitazioni alla libertà di movimento come siamo stati abituati fino a pochi mesi fa. I locali continuerebbero a rimanere aperti, sarebbe ancora possibile spostarsi per lavoro o svago, per cui gli squilibri tra domanda e offerta crescerebbero, portando a un’ulteriore spinta dei prezzi.

Alla BCE rassicurano che l’inflazione sarà un fenomeno “transitorio”, provocato dalla pandemia. Persino il “falco” tedesco Isabel Schnabel getta acqua sul fuoco. Il consigliere esecutivo ritiene che qualora l’inflazione di fondo salisse sopra il 2%, l’istituto interverrebbe senza dubbio. Sarà, ma proprio quanto sta accadendo a Francoforte segnala che le cose non starebbero esattamente così. I sindacati dei dipendenti dell’Eurotower hanno chiesto aumenti salariali ben superiori all’1,3% offerto a partire da gennaio. Del resto, il costo della vita in Germania sta esplodendo.

In Italia, nelle scorse settimane la società St Microelectronics ha annunciato un aumento degli stipendi di base del 3% e su base unilaterale, cioè neppure richiesto dai sindacati. E’ la presa d’atto del mercato che l’inflazione stia intaccando il potere d’acquisto e di questo passo finirà per entrare nei processi di formazione di prezzi e salari per il futuro. E dal momento che ciò si verificherà, difficile continuare a definire transitorio l’aumento dei prezzi. Ma alla BCE prendono tempo, con il vice-governatore Luis de Guindos che segnala la possibilità per gli acquisti dei bond con il PEPP di essere riattivati dopo la cessazione del programma a marzo. Tutto per fare intendere che l’emergenza Covid non sia finita e che l’inflazione non preoccupi affatto le banche centrali.

Il rischio di perderne il controllo sale di mese in mese.

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