Dopo 45 anni, per la prima volta nel mese di marzo di quest’anno in Grecia l‘indice dei prezzi è sceso dello 0,2% su base annua, dopo una crescita di appena lo 0,1% di febbraio. E’ ancora presto per usare questa brutta parola, perché per potere parlare di deflazione bisogna che i prezzi mostrino un trend in discesa per un periodo prolungato. Tuttavia, se non ci siamo già, ci siamo quasi.  

Significato deflazione e precedenti storici

Cosa è la deflazione? Non si tratta solo dell’opposto dell’inflazione, bensì di una tendenza alla discesa dei consumi, dei salari, della produzione e del pil.

Se l’inflazione è un male, la deflazione non è un bene, ma un altrettanto male, forse a tratti peggio, perché sintomo di un’economia in caduta libera. Non a caso il termine deflazione è legato alla Grande Depressione del ’29.  

Crisi della Grecia: tutti gli indicatori sono in continuo peggioramento

E nel caso della Grecia non c’è stupore. Atene vive il sesto anno consecutivo di recessione, avendo già perso oltre un quarto del pil raggiunto nel 2007. I disoccupati sfiorano il 30% della popolazione lavorativa, chi lavora ha bassi salari e i dipendenti pubblici si sono visti decurtare la busta paga, così come i pensionati. Ciò ha portato inevitabilmente a una caduta dei consumi, della produzione (-3,9% quella industriale a febbraio su base annua, dopo il -4,2% di gennaio), degli investimenti e del pil. Per forza di cose i prezzi iniziano a scendere, per effetto della legge della domanda e dell’offerta. Certo, una discesa dei prezzi comporta anche l’aspetto positivo di un aumento del potere d’acquisto dei redditi e delle pensioni. Se i beni e i servizi costano mediamente di meno, allora lo stesso stipendio vale di più. Ma la tendenza potrebbe essere pericolosa e si potrebbe incappare in quella che gli economisti definiscono da circa un ventennio la “trappola della liquidità” del Giappone.

Cosa accade, infatti, se i prezzi scendono? I consumatori trovano conveniente ritardare gli acquisti, perché in futuro costeranno di meno. Ma così facendo provocheranno a loro volta stagnazione o anche recessione, anche perché le imprese cercheranno di anticipare la produzione, per non vendere a prezzi inferiori. Risultato? L’economia si stabilizza in una fase di perenne sovrapproduzione e il caso del Giappone dimostra come non sia affatto semplice uscirne. Le forti dosi di spesa pubblica (peraltro, impensabili in Grecia o nel resto dell’Eurozona) e le maxi-iniezioni di liquidità in circolazione non hanno portato ad alcun risultato (Giappone brinda all'”Abenomics” ma l’economia pompata è rischiosa).  

Deflazione Italia: che rischi corre il nostro paese?

Il timore degli economisti è che altri Paesi dell’Area Euro possano seguire la via della deflazione alla greca, forse anche in termini strutturali. Si fa presente, ad esempio, che Italia e Giappone abbiano la stessa struttura demografica, ossia una popolazione che invecchia progressivamente. E sappiamo che gli anziani sono maggiormente propensi al risparmio, piuttosto che al consumo. E un abbassamento generali dei consumi per cause demografiche sarebbe la causa principale della deflazione nipponica, che rischia di arrivare anche in Europa. Vale la pena di sottolineare come in Italia non vi siano ancora avvisaglie di deflazione, per quanto la crescita dei prezzi sia in discesa (ma questo è un bene). Ma proprio ieri il Fondo Monetario Internazionale ha espresso preoccupazione per la rapida contrazione del credito delle banche alle imprese e alle famiglie in Italia e Spagna. E nonostante lo stesso istituto sottolinei come il sistema bancario italiano sia solido. Una forte discesa dei prestiti, che nel nostro Paese è sotto gli occhi di tutti da almeno un anno e mezzo, potrebbe portare a spinte deflazionistiche, attraverso la compressione degli investimenti, della produzione, dell’occupazione e dei consumi.

Per questo, il caso Grecia è attentamente monitorato, tanto che si potrebbe discutere oggi stesso al G20 finanziario del rischio che tutta l’Eurozona possa cadere nella deflazione. A poco vale che la Troika avesse previsto prezzi stabili o possibilmente pure in lieve discesa per Atene, come conseguenza delle politiche di austerity. Una volta iniziata la tendenza si potrebbe innescare un meccanismo dal quale sarà poi molto difficile uscirne.